Arpae: L’aria buona, in alto ma non sempre

Arpae e l'aria buona

Di aria buona parlavano già i nostri nonni, Italo Calvino ci ha intitolato un racconto, “L’aria buona”, appunto, in cui Marcovaldo e i suoi figli si recano su una collina per respirare aria pulita.

Da sempre all’attenzione di chi vuole tutelare la propria salute, gli studi sull’aria buona – o la qualità dell’aria – sono diventati sempre più seguiti, specie in questi anni in cui è aumentata enormemente la sensibilità al problema “inquinamento”.

Nomi come PM2.5 (polveri aventi un diametro inferiore a 2,5 micrometri), biossido di azoto (NO2 ), benzene, e anche il meno comune UFP (particelle ultrafini di aerosol atmosferico, di diametro compreso fra 8 e 100 nanometri), sono diventati ormai noti anche ai non addetti ai lavori.

Pertanto, quando si cerca aria buona, si cercano luoghi lontani dalle sorgenti di emissione di questi composti, anche se spesso non basta. Non tutti sanno che i livelli di inquinamento vengono valutati non tanto rispetto alle emissioni bensì misurando le concentrazioni degli inquinanti in atmosfera.

Si tratta di parametri i cui valori sono legati a svariati fattori: soprattutto meteorologici (ventosità, stabilità atmosferica, altezza media dello strato di dispersione degli inquinanti, piovosità, ecc.) e geografici (in questo caso si parla di variabilità orizzontale). Ma non solo: in queste misurazioni occorre tenere conto anche della variabilità in verticale (ossia, dell’altezza dal suolo a cui vengono rilevati i dati).

Mentre esistono numerosi studi sulle concentrazioni di inquinanti atmosferici in orizzontale, sono rare le indagini sulla variabilità in verticale. A questo proposito, risultano quindi di particolare interesse i dati provenienti dal progetto Supersito, realizzato a partire dal 2010 da Regione Emilia-Romagna e Arpae, con la collaborazione dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr e di altre istituzioni nazionali e internazionali, per migliorare le conoscenze relative alla concentrazione in atmosfera di alcuni inquinanti, sia all’esterno delle abitazioni (outdoor), sia all’interno (ambiente indoor, di cui spesso si sottovaluta l’insalubrità).

In particolare, il progetto ha portato allo studio di due campagne di misurazione svolte fra il 2015 e il 2016, in inverno e in estate, nell’area urbana di Bologna, con l’obiettivo di valutare nel dettaglio il variare della qualità dell’aria con la quota, passando dai piani bassi ai piani alti. Il palazzo scelto – per opportunità e posizione – è stato il grattacielo sede della Regione Emilia-Romagna a Bologna, in viale Aldo Moro 38 (18 piani per circa 76 metri), che benché non si possa dire rappresentativo della qualità dell’aria in un’area urbana, è stato ritenuto idoneo in quanto lo scopo dello studio era misurare le variazioni percentuali e non le concentrazioni assolute degli inquinanti.

Arpae ha posizionato a diverse quote gli strumenti di misura su piccoli balconi che affacciano sull’esterno del palazzo: 15, 26, 44, 65 metri come raffigurato nella Infografica, e al piano terra (a 2 metri), nel giardino dell’edificio.

La rappresentazione in sintesi dei risultati evidenzia che il PM2.5 resta pressoché invariato al variare della quota. Le concentrazioni infatti decrescono solo debolmente (-11% in inverno e -4 % in estate).

Le particelle ultrafini (UFP) diminuiscono, in entrambe le stagioni, di circa il 30% tra il piano terra e l’ultimo piano. Ancora maggiore è il divario dal piano terra ai piani alti della concentrazione del biossido di azoto (-74%) e del benzene (-35%), soprattutto nel periodo invernale.

Tutte le differenze di concentrazione tra le varie quote ovviamente risultano più marcate in condizioni di scarsa ventosità e di stabilità atmosferica.

Come mai queste differenze di comportamento fra i vari elementi?

Il particolato fine PM2,5 e il biossido d’azoto NO2 mostrano una variabilità ridotta rispetto agli altri inquinanti perché sono, se pure in proporzioni differenti, inquinanti secondari. Infatti, per la maggior parte non provengono direttamente da una o più fonti di emissioni, ma si formano in atmosfera a seguito di complesse reazioni chimiche. Si tratta di reazioni non lineari, su cui incidono considerevolmente le condizioni meteorologiche, come temperatura, umidità relativa e irraggiamento solare. Di conseguenza, risulta difficile assegnare pesi precisi e costanti nel tempo alle sorgenti di emissione.

In particolare:

– il PM2,5, una volta formatosi in atmosfera in particelle solide, si distribuisce omogeneamente nello spazio e, in assenza di pioggia o vento, tende a rimanere in sospensione in aria per diversi giorni. Ne consegue la marcata uniformità delle concentrazioni sia in orizzontale sia in verticale.

– il biossido di azoto (NO2) presenta rilevanti meccanismi di diluizione, trasformazione, tanto che la variabilità sulla verticale e in orizzontale (campagna rispetto a città, zone ad alto traffico rispetto a zone a basso traffico) è molto più marcata rispetto al PM2,5.

Diverso è il caso degli inquinanti primari, la cui principale fonte di emissione diretta è il traffico:

– il benzene, che può essere considerato in buona approssimazione un inquinante primario, dimostra un decremento sulla verticale in gran parte legato appunto alla diluizione che avviene man mano che ci si allontana dalla sede stradale in cui circolano i veicoli;

– analogo il discorso per le particelle ultrafini (UFP): probabilmente la variabilità sarebbe stata ancora maggiore se la misura al suolo fosse stata fatta più in prossimità della sede stradale. Si è visto infatti che sono sufficienti distanze di poche decine di metri per fare decrescere sensibilmente il numero di UFP.

Quindi, la soluzione per respirare aria buona in città è stare ai piani alti? Vero ma solo in parte. Vanno bene i grattacieli o gli edifici molto alti, meglio se d’estate.

Si è visto infatti che in realtà, rispetto all’impatto sull’esposizione della popolazione agli inquinanti, le differenze dovute alla quota appaiono significative solo nel caso di edifici di notevole altezza; in quelli alti fino a una quindicina di metri (tre/quattro piani) le variazioni di concentrazione di inquinanti legate alla quota risultano infatti minime. Ciò vale soprattutto per il PM2,5,  inquinante fra i più importanti per la nostra salute, che presenta lievi differenze al variare della quota, anche nel caso di edifici molto alti. (RM)

Da Arpae

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