Bobbio Film Festival, Mancino: “Una rassegna che rappresenta tutto il cinema”

premio speciale Gobbo d'oro alla carriera a Pippo Delbono

Una rassegna che soddisfa ogni esigenza, per questo il pubblico partecipa in modo assiduo, numeroso e attento. E’ una delle formule vincenti del Bobbio Film Festival, giunto alla 22 esima edizione, a cui la direzione artistica lavora per mesi prima della presentazione.

Due settimane intense dal punto di vista dei contenuti oltre che organizzativo.

Ogni sera, dopo la proiezione, i registi e gli attori ospiti hanno la possibilità di conversare con il pubblico; un momento partecipato con domande e considerazione sempre molto pertinenti.

A moderare i dibattiti si sono alternati tre critici cinematografici: Enrico Magrelli che fa parte anche del Comitato di Direzione Artistica insieme a Marco Bellocchio Pier Giorgio Bellocchio e Paola Pedrazzini, Giona Nazzaro che chiuderà la 22 esima edizione e Anton Giulio Mancino che ci ha raccontato la sua esperienza personale del Bobbio Film Festival.

“Per me che ho studiato dettagliatamente l’opera di Bellocchio per tantissimi anni essere qui è un’esperienza sovrannaturale. Questo è un posto magico, unico, un’avventura che auguro a tutti di sperimentare” ci racconta Mancino al termine dell’emozionante proiezione di “Vangelo” di Pippo Delbono.

“Trovo la scelta dei titoli molto democratica; rappresentano il cinema, tipologie molto diverse, molto estreme. Mi sembra giusto perché in questo momento il cinema va difeso proprio tutto, non credo più alla partigianeria, al cinema d’autore contro il cinema commerciale, non in questo momento. Lo dimostra il fatto che le persone partecipano tante e propositivamente al dibattito, segno che si sentono tutti rappresentati e questo è fondamentale” conclude Mancino.

A chiudere la rassegna sarà il critico Giona Nazzaro che introdurrà “Novecento – atto secondo”, modererà il dibattito venerdì 17 con Silvia Luzi e Luca Bellino registi di “Il cratere” e parteciperà all’ultima serata con la proiezione di “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci preceduta dalla cerimonia di premiazione.

Premio speciale Gobbo d’oro alla carriera a Pippo Delbono 

Ha ricevuto il premio speciale Gobbo d’oro alla carriera Pippo Delbono con il suo film “Vangelo” in rassegna al Bobbio film Festival. E’ stato Pier Giorgio Bellocchio a consegnarlo al regista al termine della proiezione al chiostro di San Colombano.

Una serata densa di emozione perché il Vangelo colpisce, ammutolisce e fa riflettere.

Un film dedicato alla madre perché proprio da lei Delbono ricevette l’input: “Pippo, fai qualche cosa che parli dell’amore. È importante parlare dell’amore, Pippo. Potresti fare il Vangelo. Dovresti pensare veramente di fare il Vangelo» gli disse prima di morire. «Come faccio a fare il Vangelo, mamma? Io non credo in Dio. Non credo a questo Dio delle menzogne, a questo Dio della famiglia, in questo dio che m’insegnavate da piccolo, questo dio delle paure, paure di tutto, anche dell’amore. Dell’amore. Questo Dio dei miracoli. Questo dio che cammina sull’acqua. Non si può camminare sull’acqua. Si può solo sprofondare nell’acqua, come sprofondano tutte queste persone che stanno arrivando qua e che cadono, come dei Cristi, in mezzo al mare». Così inizia il film che racconta come si vive e chi vive in un centro profughi.

Il regista condivide con questi ragazzi, che chiama tutti per nome, la quotidianità fatta di tempo sospeso tra dolorose memorie e incerto futuro. Poco alla volta i rifugiati si aprono  e raccontano le loro storie, come ha fatto Safi. “Ho spiato il loro piccolo, privato mondo – racconta Delbono nel film come una sorta di voce narrante – avevo paura ad entrarci troppo nel loro mondo. Vangelo è stato un pretesto per avvicinarmi a loro così lontani, così diversi da me. Ad accomunarci la solitudine, il nostro bisogno dell’altro”.

Nel film, girato in parte da Delbono con una videocamera, sono narrate le storie, i racconti di vita, le morti scampate, la fuga dalle prigioni per approdare, spesso, in altre prigioni. “Non è un film ideologico – ci tiene a precisare il regista – sono entrato nudo da preconcetti e ne sono uscito ancora più nudo. Mi trovato in mezzo a sconosciuti arrivati dall’acqua, non sapevamo chi aveva vergogna di chi, non sapevo chi aveva paura di chi”.

“E’ un film che ancora mi provoca sofferenza, nonostante siano passati due anni dalla realizzazione, un’esperienza che fa ancora male – racconta Delbono – in un paese, come l’Italia, pericolosamente razzista e fascista, oggi più che mai”.

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