Bonaccini ammette che chiudere i punti nascita in montagna fu un errore

Secondo il coordinamento provinciale sanità e medicina territoriale di Piacenza è possibile modificare gli indirizzi del piano sociosanitario piacentino e fermare il depotenziamento della rete ospedaliera provinciale

Il Coordinamento provinciale sanità e medicina territoriale di Piacenza interviene sul tema dei punti nascita in montagna dopo il recente “mea culpa” recitato dal presidente della regione, Stefano Bonaccini, che in una recente intervista alla Gazzetta di Modena ha ammesso l’errore di valutazione che aveva portato a ridimensionare la medicina territoriale ed in particolare i punti nascita in montagna.

«Certo – scrive il comitato – può darsi che l’autocritica di Bonaccini sia motivata da valutazioni elettorali (nel Modenese diversi comuni andranno al voto alle prossime amministrative) ma le sue ultime dichiarazioni aprono una autostrada per riprendere una riflessione anche sulla sanità piacentina a cui Asl e Conferenza sociosanitaria provinciale si sono sempre dimostrate poco disponibili.

Prendiamo appunto l’esempio dei punti nascita. Anche nel piano provinciale piacentino questa risposta sanitaria viene di fatto concentrata solo sull’ospedale del capoluogo sulla base dell’idea che così facendo si sarebbe potenziata una maggiore qualità degli interventi.

Nulla toglie al fatto che gravidanze e parti particolarmente difficili trovino nel capoluogo un punto di eccellenza specifica a cui rivolgersi in caso di complicazioni, ma nulla esclude la necessità che l’intera rete ospedaliera (Castel San Giovanni, Fiorenzuola, Bobbio) sia dotata di punti nascita, in grado cioè di prendersi cura, di assistere e aiutare a partorire chi vive distante dal capoluogo, su un territorio vasto, frantumato, come è la nostra provincia.

Tutti ultimamente vantano l’importanza della medicina territoriale. Su questo come comitato salute provinciale abbiamo già denunciato la scarsità di progettazione, ma sopratutto abbiamo denunciato come la medicina territoriale sia vista solo come strumento per ridurre l’ospedalizzazione e non invece come una rete di cura ed assistenza che richiede anche un rapporto stretto con i presidi ospedalieri dei singoli distretti.

Medicina territoriale non può essere ridotta solo ai Medici di medicina generale (MMG) ma richiede investimenti per dotare i vari distretti di reti di presa in cura, di punti per esami diagnostici e visite specialistiche, di reti assistenziali, di supporto alle fragilità, alle politiche di prevenzione. Una rete che non può funzionare senza connessione con la presenza di presidi ospedalieri che garantiscano pronti soccorso, reparti  (chirurgia e medicina, ortopedia, punti nascita ecc).

Osservazioni queste che abbiamo più volte esposto alla direzione Ausl ed ai sindaci della Conferenza Socio Sanitaria. Non si può avere una sanità territoriale efficace senza investimenti. La razionalizzazione della rete ospedaliera centrata sul contenimento dei costi non porta a nessuna distribuzione sanitaria sul territorio, anzi, al contrario la riduce ulteriormente e come sta succedendo, viene rimpiazzata da strutture private. E’ questo l’obiettivo?».

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