Bufera giudiziaria travolge la politica piacentina. Arrestati tre sindaci: Castelli, Guarnieri e Pasquali

In totale gli indagati sono 35 fra cui due imprenditori edili, tecnici comunali, un tecnico della Provincia, altri importanti esponenti politici. In sette ai domiciliari, tre in carcere. Tutti i particolari nell'articolo

Una devastante bufera giudiziaria si è abbattuta all’alba di questa mattina sulla politica piacentina travolgendo alcuni esponenti di primo piano del panorama pubblico locale.

Undici persone arrestate (tre in carcere e sette ai domiciliari) fra cui il sindaco di Cerignale Massimo Castelli, quello di Corte Brugnatella Mauro Guarnieri (entrambi alle Novate) ed il sindaco di Bobbio Roberto Pasquali che è invece ai domiciliari così come i responsabili dell’ufficio tecnico di Ferriere e di Bobbio ed il responsabile dei Servizi Edilizia della Provincia di Piacenza mentre per il vicesindaco di Zerba, Claudia Borrè, è scattato il divieto di dimora. Come previsto dalla legge i sindaci arrestati decadranno automaticamente dal loro ruolo. Il prefetto ha comunicato di aver applicato la legge Severino.

In manette anche due imprenditori del settore dell’edilizia idraulica: Nunzio Susino e Maurizio Ridella.

Fra gli indagati svariati altri imprenditori, funzionari pubblici di più amministrazioni locali.

Coinvolta nell’indagine anche l’assessore all’Urbanistica del Comune di Piacenza, Erika Opizzi (Fratelli d’Italia) per vicende legate ad un parcheggio in via Genova ed un terreno a La Verza. Secondo quanto riporta l’agenzia Ansa l’inchiesta coinvolgerebbe anche il deputato del partito della Meloni, l’on.Tommaso Foti. Su quest’ultimo aspetto, in conferenza stampa, il procuratore capo Grazia Pradella (vedi intervista sotto) si è trincerata dietro un “no comment” ed allo stesso modo aveva specificato l’estraneità dell’amministrazione comunale di Piacenza da queste vicende.

Intanto l’assessore Opizzi ha rassegnato le proprie dimissioni al sindaco Barbieri e con una lettera pubblica ha dichiarato la propria estraneità ai fatti contestati dall’accusa.

Anche esponenti della giunta comunale di Coli sarebbero oggetto di questa indagine partita nel 2018, portata avanti dai carabinieri del Comando Provinciale di Piacenza e coordinata dai dai sostituti Matteo Centini ed Emilio Pisante.

In totale le persone indagate sono 35. I reati contestati, a vario titolo, vanno dall’associazione per delinquere, alla concussione, dalla corruzione, all’abuso d’ufficio, dal traffico di influenze illecite, alla turbata libertà degli incanti e della libertà del procedimento di scelta del contraente, dalla frode nelle pubbliche forniture, al falso materiale e falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale, dalla truffa ai danni dello Stato al voto di scambio.

Sono oltre 300 i militari che alle prime ore di questa mattina hanno provveduto a notificare i vari provvedimenti cautelari ma anche ad acquisire elementi utili alle indagini e a verificare alcune ipotesi di reato. Nella casa di uno degli indagati, ad esempio, si è avuto riscontro di alcuni lavori effettuati da uno degli imprenditori quale compenso per un appalto a lui assegnato.

Davanti a quanto emerso oggi in conferenza stampa torna alla memoria una frase scritta dal giudice Fiammetta Modica nella sentenza della Caserma Levante quando riferendosi alla nostra città affermava «episodi inquietanti sono stati portati all’attenzione dell’autorità giudiziaria, facendo emergere un preoccupante sistema di illegalità connaturato con il potere, basti pensare all’indagine che coinvolse nel corso del 2013 la sezione narcotici della Squadra Mobile della polizia di Stato per condotte per certi versi simili, e da ultimo al processo a carico dell’ex presidente del consiglio comunale Giuseppe Caruso celebratosi nel 2021, imputato per diversi reati associativi di stampo mafioso, condannato in primo grado, nell’ambito del processo Grimilde a vent’anni di reclusione. Una città dalle tante facce, spesso vischiosa nei rapporti di potere, on una ricchezza diffusa, un’austera alacrità e un perbenismo imperante talvolta con radicate connessioni con il contesto criminale sommerso legato al mercato degli stupefacenti, della prostituzione e, ma non in ultimo, alla corruzione».

Alla domanda se anche questa vicenda odierna sia segno della “vischiosità” dei poteri nella nostra provincia il procuratore capo di Piacenza, Grazia Pradella ha così riposto «Quella frase è stata inserita in un contesto ed esemplificata. Qui io mi limito a dar conto di quelle che sono le risultanze. Dietrologie o analisi superficiali le lascio ad altri».

Saranno gli eventuali futuri processi a stabilire se le accuse della procura nei confronti dei sindaci e delle altre persone coinvolte abbiano effettivo fondamento. Resta comunque il fatto che il gip abbia convalidato le misure cautelari e che in carcere intanto sia finito Massimo Castelli, che fino a ieri era fra i più accreditati candidati del centrosinistra per la corsa alla poltrona di sindaco di Piacenza. Come ci hanno tenuto a sottolineare gli inquirenti non si tratta di un’inchiesta politica tanto che coinvolge esponenti di sinistra come di destra.

«Questa ha detto il capo procuratore –  è una vicenda che tocca pesantemente sotto il profilo della buon andamento della pubblica amministrazione una parte importante della provincia di Piacenza cioè l’Alta Val trebbia, tocca in parte anche il Comune di Piacenza la provincia di Piacenza. E’ un’indagine complessa che tratta di reati appunto contro la pubblica amministrazione difficili da ricostruire che ha chiesto un impegno veramente ragguardevole notevole del da parte dei carabinieri di Piacenza in particolare del nucleo investigativo e da parte dei due colleghi che qui sono seduti accanto a me».

L’indagine era partita da un episodio poi risultato del tutto slegato, l’incendio di un mezzo di cantiere di uno degli imprenditori indagati. Attraverso l’uso di “trojan” iniettati nei telefonini, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire quello che ritengono essere un impressionante quadro di corruzione con appalti che sarebbero stati pilotati verso le stesse aziende. In alcuni casi addirittura i lavori sarebbero stati prima eseguiti ed a posteriori formalizzati con gare d’appalto costruite ad hoc. Per far sembrare tutto regolare sarebbero anche state utilizzate ditte compiacenti che avrebbero presentato offerte più alte.
Secondo i pm per rientrare delle spese sostenute a fini di corruzione o per starci dentro con i prezzi dei ribassi in alcuni casi le ditte coinvolte avrebbero utilizzato materiali non a norma (anche importati dalla Cina e senza certificazioni) ed eseguito dunque lavori non conformi. Su questo la Procura ha in corso ulteriori approfondimenti e saranno richieste perizie per verificare che non vi siano pericoli per l comunità. Si tratterebbe non di grandi opere ma di interventi come l’asfaltatura di strade.

L’inchiesta è tuttora in  corso e non si escludono ulteriori clamorosi sviluppi, basati anche  su quanto acquisito nelle odierne perquisizioni. Trattandosi infatti di piccoli comuni, con pochi dipendenti, non è stato possibile per i carabinieri recuperare prima documenti e riscontri senza che gli indagati si accorgessero di essere sotto controllo.

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