Cinquanta quadri per raccontare “La Piacenza che era”

La mostra, a cura di Laura Bonfanti, resterà aperta dal 19 dicembre 2021 - 16 gennaio 2022 presso PalabancaEventi in via Mazzini 14 a Piacenza

«Facciamoci contagiare, ma dalla bellezza». E’ il messaggio lanciato da Carlo Ponzini nel corso della conferenza stampa che si è tenuta nella Sala Ricchetti della Sede centrale della Banca di Piacenza per la presentazione della mostra “La Piacenza che era”, appuntamento con l’arte tradizionalmente offerto dall’Istituto di credito, alla città, nel periodo natalizio (PalabancaEventi, 19 dicembre 2021 – 16 gennaio 2022, con inaugurazione venerdì 17 dicembre, alle 18, in Sala Panini). Dopo il saluto del presidente del Cda Giuseppe Nenna («L’evento – ha rimarcato – è sostenuto dalla sola Banca, non gode di alcun finanziamento pubblico e quindi non grava sulla comunità»), la curatrice della mostra Laura Bonfanti ne ha illustrato i contenuti. «Si tratta – ha spiegato – di un viaggio da inizio Ottocento fino ai giorni nostri attraverso il quale si presenta lo stretto rapporto tra la città e i suoi abitanti, in un insieme armonico di interazioni e ammodernamenti capaci di rendere questo territorio l’unicum che è oggi». Un viaggio attraverso l’esposizione di numerosi quadri (tra gli artisti in mostra, Hippolyte Sebron – dipinto designato immagine-mostra -, Jacques Carabain, Giovanni Migliara, Federico Moja, Luciano Ricchetti, Elvino Tomba, Bruno Sichel, Ernesto Giacobbi, Bot) che ritraggono appunto parti della Piacenza di una volta che non ci sono più: iniziando da Piazza Cavalli, per proseguire con le Piazze Duomo, Borgo, Sant’Antonino e Cittadella; sono poi presenti importanti edifici religiosi, tra cui la basilica di Santa Maria di Campagna, le chiese oggi sconsacrate delle Benedettine e di Santa Margherita; si incontrano infine i rioni Cantarana, Porta Borghetto e Muntä dí ratt. Completano l’esposizione una quarantina di fotografie d’epoca (scattate dai più rinomati studi fotografici attivi nel Novecento: i fratelli Eugenio ed Erminio Manzotti, Giulio Milani, Gianni Croce e da privati) e da cartoline, sempre d’epoca.

L’arch. Valeria Poli, presidente del Comitato di Piacenza della Deputazione di storia patria, ha dal canto suo illustrato i contenuti del catalogo con contributi di diversi studiosi e la riproduzione fotografica di tutte le opere in mostra, corredate da schede storico-artistiche («Questa mostra – ha osservato l’arch. Poli – è l’occasione per il visitatore di conoscere la nostra città, la sua trasformazione nel tempo dal punto di vista urbanistico e architettonico»). A Carlo Ponzini, responsabile dell’allestimento, il compito di illustrare come è nato il logo della mostra («con un richiamo a Piazza Cavalli, al logo della Banca e ai colori della città, il bianco e il rosso; quel rosso che troviamo anche nel percorso, in quella banda che come un cordon rouge prende per mano il visitatore e lo accompagna nelle varie sale: dei depositanti, Carnovali, Raineri, Douglas Scotti»).

L’ingresso è libero per Soci e Clienti della Banca. Per i non clienti ingresso con biglietto nominativo scaricabile esclusivamente dal sito www.bancadipiacenza.it. Sono previste visite guidate per scuole e associazioni (prenotazioni all’Ufficio Relazioni esterne tel. 0523 542137; [email protected]). Orari: dal martedì al venerdì dalle 16 alle 19; sabato e festivi dalle 10 alle 12.30 e dalle 16 alle 19 (giorni di chiusura 24, 25, 31 dicembre e 1 gennaio). Per l’ingresso, sulla base delle vigenti disposizioni inerenti le mostre, è necessario esibire il Green Pass, indossare la mascherina e tenere poi il distanziamento interpersonale.

Laura Bonfanti racconta la mostra

La Piacenza che era è un viaggio da inizio Ottocento fino ai giorni nostri attraverso il quale si presenta lo stretto rapporto tra la città e i suoi abitanti, in un insieme armonico di interazioni e ammodernamenti capaci di rendere questo territorio l’unicum che è oggi. La rassegna propone alcune interessanti vedute delle principali zone di Piacenza, luoghi, nel tempo, oggetto di diverse modifiche architettoniche che ne hanno cambiato, anche radicalmente, il volto, ma, soprattutto, progredendo in questo percorso, essa ci mostra come la vita delle persone si stesse evolvendo di pari passo con il tessuto urbano.

Vengono così presentati e analizzati scorci che hanno subìto, per diverse ragioni, interventi di demolizione, ristrutturazione o parziale rifacimento: in alcuni dipinti sono quindi raffigurati palazzi oggi non più esistenti, aree verdi divenute centri abitati o, semplicemente, alcune migliorie apportate con lo scopo di abbellire o rendere più fruibile un’area civica, quali, ad esempio, l’aggiunta di aiuole, panchine o decorazioni in ferro battuto.

La retrospettiva è un excursus caratteristico e coeso, nel quale i soggetti maggiormente riprodotti dagli artisti sono quelli del centro storico, iniziando con la principale piazza dei Cavalli, per proseguire con le piazze Duomo, Borgo, Sant’Antonino e Cittadella; sono poi presenti importanti edifici religiosi, tra cui la basilica di Santa Maria di Campagna, le chiese oggi sconsacrate delle Benedettine e di Santa Margherita; si incontrano infine i rioni Cantarana, Porta Borghetto e Muntä dí ratt.

Protagonisti sono circa cinquanta quadri di proprietà di diversi collezionisti, soprattutto privati, i quali hanno attivamente contribuito per poter mostrare i pezzi della loro raccolta nelle prestigiose sale di Palazzo Galli, sede espositiva della Banca di Piacenza che, da oltre diciassette anni, con grande filantropia, organizza e cura rassegne d’arte legate al proprio territorio d’origine.

Le opere pittoriche presentate, seppur con alcune eccezioni, sono databili tra l’inizio dell’Ottocento e la fine del Novecento. I masterpiece del XIX secolo sono a firma del francese Hippolyte Sebron (dipinto designato immagine-mostra) e dell’olandese-belga Jacques François Carabain, degli italiani Giovanni Migliara e del suo allievo Federico Moja. A questi, vengono affiancati pittori locali operanti soprattutto nel XX secolo, tra i quali menzioniamo Luciano Ricchetti, Elvino Tomba, Bruno Sichel, Ernesto Giacobbi e BOT. Accanto alla pittura a olio, sono accostati alcuni disegni e bozzetti, di cui i principali eseguiti dallo stesso Migliara e da Alessandro Sanquirico. A seguire, viene esibita una serie composta da bassorilievi in ceramica a firma del piacentino Giorgio Groppi, la maggioranza dei quali di proprietà della Banca di Piacenza. Infine, i medesimi scorci, questa volta fissati su pellicola, possono essere ammirati nella sezione del bianco e nero, ospitata nella Sala Douglas Scotti, dove sono appese alle pareti una quarantina di istantanee storiche scattate dai più rinomati studi fotografici attivi nel Novecento: i fratelli Eugenio ed Erminio Manzotti, Giulio Milani e Gianni Croce.

Il percorso si sviluppa così tra le varie sale di Palazzo Galli – Salone dei Depositanti, Sala Carnovali, Sala Raineri e Sala Douglas Scotti – le quali sono a loro volta suddivise in diverse sezioni, queste ultime ripartite sia geograficamente che cronologicamente. Il visitatore può comprendere – grazie all’aiuto puntuale di pannelli e didascalie – le modifiche strutturali subìte dalla città nei vari periodi, individuando le motivazioni e le necessità che hanno portato a questi cambiamenti architettonici. Tali trasformazioni sembrano trovare fondamento: nelle evoluzioni dello stile e della ricerca andate succedendosi nel campo edilizio; nell’esigenza di ospitare un numero più elevato di edifici all’interno delle mura e nella prima periferia; nell’adeguamento e nel progresso dei servizi e dei trasporti, dove vale la pena ricordare, a tal riguardo, il passaggio dalle carrozze, con le strade ciottolose solcate da due guide di pietra, ai tram, che seguivano il loro tragitto prestabilito sferragliando sulle rotaie.

Le riqualificazioni viaggiano in parallelo con il susseguirsi delle varie amministrazioni, ognuna delle quali ha portato con sé il proprio gusto e la propria idea, chiamando diversi architetti e ingegneri a contribuire al rifacimento del volto urbano, oggi riscontrabile nelle modifiche apportate ai piani regolatori, di volta in volta ben identificabili in base al periodo storico di riferimento. La città, come i suoi abitanti, invecchia e cambia nel tempo, ma sembra capace di conservare inalterati certi tratti estetici e caratteristiche connotazioni che la rendono inconfondibile e unica.

Attraverso lo scorrere delle opere, è poi interessante notare il modo in cui gli artisti, di passaggio o residenti, sono rimasti affascinati da questa città d’arte tanto da lasciarsi ispirare da ciò che avevano dinanzi agli occhi, volendo fissare, spesso su tela o pellicola, questo ricordo. Diventa così coinvolgente constatare che i medesimi soggetti vengono interpretati in diverse angolazioni, in diverse epoche storiche, in diverse stagioni dell’anno, immortalando un territorio spettatore dello scorrere del tempo assieme ai suoi abitanti i quali vanno abbigliandosi, inesorabilmente, in maniera sempre più moderna.

Si può solo immaginare che dietro ai preziosi portali, ai cancelli in ferro battuto o ai muri di cinta ritratti nei lavori in esibizione si celi la parte nascosta di Piacenza, la quale, per carattere, da sempre nasconde le sue beltà, spesso accessibili solo ai proprietari e a pochi intimi – al tempo soprattutto appartenenti a nobili famiglie o all’alta borghesia – e dove si possono trovare orti rigogliosi e splendidi giardini segreti, forse rimasti immutati, o forse anch’essi cambiati nel corso degli anni.

Per l’occasione è predisposto un catalogo contenente scritti stilati da diversi studiosi e la riproduzione fotografica di tutte le opere in mostra, corredate da approfondite schede storico-artistiche. In tale pubblicazione si è inteso quindi raccogliere e confrontare aspetti e momenti di una città nata in riva al Po, ubicata al centro della Pianura Padana, da sempre considerata un luogo di transito, un grande crocevia di culture, di flussi migratori, di pellegrini, di mercanti e di artisti, viaggi di cui Piacenza è stata testimone e da cui ha tratto ineguagliabile ispirazione. È stato così possibile collegare il passato con il presente attraverso l’avvincente scoperta di un territorio e dei suoi abitanti: essi cambiano nel tempo, ma mantengono inalterati alcuni aspetti caratteriali e peculiarità distintive in grado di rendere inconfondibili i tratti de La Piacenza che era.

Hippolyte Sebron nella mostra La Piacenza che era

Il meraviglioso dipinto a olio realizzato da Hippolyte Sebron (Caudebec-en-Caux, 1801-Parigi, 1879) intitolato Piazza dei Cavalli a Piacenza e designato quale immagine-mostra dell’esposizione La Piacenza che era, è acquistato, nel 2006, dalla Banca di Piacenza e risulta oggi permanentemente esposto nella sede centrale, presso via Mazzini, 20.

È grazie al sopra citato Istituto di credito se questo dicembre viene organizzata una mostra d’arte fortemente legata al territorio nelle prestigiose sale di Palazzo Galli, dove saranno esposti scorci cittadini che negli anni hanno subìto modifiche architettoniche, raccontando così un susseguirsi di cambiamenti che vanno a mutare indelebilmente il tessuto urbano rendendolo quello che oggi si presenta ai nostri occhi.

Nel 2006, questo quadro viene pubblicato sulla copertina della storica rivista “Strenna Piacentina”, diretta da Ferdinando Arisi, il quale lo descrive con queste parole:

“Questa «Piazza dei Cavalli a Piacenza» (olio su tela, cm 38×57,5), firmata e da- tata «H. Sebron 1836», è stata dipinta da Hippolyte Victor Valentin Sebron […], vedutista, allievo di Louis-Jacques Daguerre (1787-1851), pittore ed inventore della fotografia. Collaborò con il maestro nel realizzare composizioni caratterizzate da particolari effetti di luce, qualificate come «diorama». Nella «Piazza Cavalli» Sebron sfrutta queste esperienze: inventa la luce, muta il rapporto tra gli edifici che la circondano; si propone di dilatarla. Umilia il moderno Palazzo del Governatore, non fa notare il calendario perpetuo e la meridiana, orgoglio della cultura locale; illumina da nord il Palazzo Gotico ma presenta in controluce il monumento equestre del Mochi. Riprende fedelmente gli edifici sul fondo, con la facciata di S. Francesco tra le quinte delle case, animata dalla gente che entra in chiesa dalla porta centrale, le cui decorazioni, oggi in parte perdute, sono accennate, superando la sfocatura dovuta alla distanza.

Inventa il quotidiano, con l’improbabile tenda in primo piano, al di là della schiera di colonnotti un poco abbassati per rendere più ampia la piazza. Penso che inventi anche le tende sulla facciata del Palazzo del Governatore (tra l’altro, che cosa ci stanno a fare se la luce viene da nord?); tende che non compaiono nelle note vedute di Giovanni Migliara, del 1831, e di Federico Moja, del 1840, con la piazza vista dalla parte opposta.

L’occhio di Sebron è d’uno straniero: il turista ammira il monumento del Mochi, il pellegrino posa in primo piano, «in divisa», come un S. Rocco del 1836, l’anno del «Vocabolario piacentino-italiano» di Lorenzo Foresti, stampato da Del Maino. In primo piano, davanti ai colonnotti-paracarro, il selciato è sconnesso”.

Entrambe le vedute citate da Arisi, eseguite da Giovanni Migliara e dell’allievo Federico Moja, sono esposte nella mostra La Piacenza che era e ben documentate nel catalogo realizzato per l’occasione.

Tornando all’opera di Sebron, eseguita quasi duecento anni fa, essa raffigura uno degli scorci più noti di Piacenza, nel quale viene mostrato un angolo di piazza dei Cavalli per certi aspetti oggi molto diverso. Sullo sfondo si possono infatti notare una serie di vecchie case tutte unite fra loro con le relative botteghe, l’ultima risulta addirittura addossata alla trecentesca Basilica intitolata a San Francesco, dal momento che non esisteva il passaggio tra piazza dei Cavalli e piazzetta Plebiscito. È poi interessante constatare come l’artista centri la veduta precisamente su San Francesco, punto focale al quale fungono da cortine per il cannocchiale prospettico proprio i piccoli fabbricati ove ora sorgono il Secondo e Terzo Lotto, inframmezzati dall’edificio denominato Dado, l’ex torrazzo cittadino, eretto alla fine degli anni trenta del XIV secolo. Grazie ad alcuni documenti, si è rinvenuto che la costruzione era alta come la Basilica francescana e aveva funzioni di vedetta. In tale torre civica era posta la campana per chiamare a raccolta la popolazione. Già a metà Cinquecento la struttura evidenzia preoccupanti cedimenti strutturali e, all’inizio del Seicento, il gran Consiglio Comunale degli Anziani emana l’ordinanza per l’abbattimento fino a raggiungere l’altezza delle altre abitazioni di piazzetta San Francesco. La campana – che ha il peso di circa venti quintali – è così trasferita sul fronte di palazzo Gotico, dove viene fatta costruire un’apposita struttura, in stile barocco, atta a contenerla e presente nel dipinto.

Altro mutamento architettonico rilevante è, appunto, la demolizione degli antichi fabbricati posti in secondo piano, ai due lati della basilica di San Francesco, abbattuti per lasciare spazio a costruzioni in stile Novecento chiamate Primo, Secondo e Terzo Lotto, edificazioni avvenute in circa trent’anni, tra il 1934 e il 1963. A tal fine, sono stati smantellati, tra gli altri, l’albergo Tre corone, la sede di Libertà e la casa natale di Pietro Gioia.

L’opera del francese Sebron raffigura anche alcune superfetazioni della facciata di palazzo Gotico, quali la costruzione barocca a sostegno della campana che s’erge nel mezzo del prospetto, rimossa nel 1870, la merlatura modificata nel medesimo anno e il balcone demolito nel 1908 durante alcuni lavori di restauro compiuti dall’architetto Pirovano, nonostante le rimostranze della cittadinanza. Sul fronte principale di palazzo del Governatore, sulla sinistra della tela, si intravvedono tende appartenenti ai negozi lì un tempo ospitati. Lungo il perimetro della Piazza risulta assente anche l’illuminazione.

Attraverso un gioco che vuole indovinare le differenze tra ieri e oggi si prosegue così in un susseguirsi di opere d’arte – spesso inedite – che mostrano caratteristici scorci di diverse zone della città: saranno infatti esposti in mostra una cinquantina di quadri e bassorilievi – eseguiti da una molteplicità di autori locali e non – accanto a una quarantina di fotografie storiche – scattate dai più rinomati studi piacentini.

Testimoniare la vita, la storia, la cultura della comunità piacentina sono obiettivi che la Banca di Piacenza persegue da più di ottant’anni e qui concretizzati nell’omaggio a La Piacenza che era. Un amore profondo e incondizionato che chi ha avuto i natali in questo luogo può ben comprendere.

Eventi collaterali

La mostra “La Piacenza che era” sarà arricchita da una serie di eventi collaterali. Di seguito il calendario degli appuntamenti.

Visite guidate alla mostra, ore 11 e 16: domenica 19 dicembre; domenica 26 dicembre; domenica 2 gennaio; domenica 9 gennaio; domenica 16 gennaio.

Visite guidate (esterne) agli scorci di Piacenza in mostra con partenza dal PalabancaEventi: sabato 8 gennaio, ore 15.30; sabato 15 gennaio, ore 15.30.

Incontri al PalabancaEventi: lunedì 20 dicembre, ore 18, conversazione di Valeria Poli sul tema L’immagine di Piacenza nella cartografia antica; giovedì 23 dicembre, ore 18, tavola rotonda con Paolo Dallanoce, Rocco Ferrari, Ippolito Negri su I negozi di una volta; lunedì 27 dicembre, ore 18, conversazione di Laura Bonfanti sul tema La Piacenza che era. Nascita e sviluppo di un progetto espositivo e del catalogo mostra (agli intervenuti sarà riservata copia del volume); giovedì 30 dicembre, ore 18, conversazione di Giuseppe Romagnoli su Piacenza popolaresca delle vecchie borgate; lunedì 3 gennaio, ore 18, conversazione di Valeria Poli su Piacenza nei ricordi fotografici di Giulio Milani; martedì 4 gennaio, ore 18, presentazione degli atti – a cura del gen. Eugenio Gentile, vicepresidente dell’Istituto per la storia del Risorgimento – Comitato di Piacenza – del convegno Piacenza Primogenita tra fine ‘800 e inizio ‘900 (agli intervenuti sarà riservata copia del volume); venerdì 7 gennaio, ore 18, La Piacenza che era nelle poesie dialettali, letture di Francesca Chiapponi; lunedì 10 gennaio, ore 18, Laura Bonfanti presenta Camminando per Piacenza. Una guida della città (agli intervenuti sarà riservata copia della guida); venerdì 14 gennaio, ore 18, conversazione di Giorgio Eremo su La Piazza Grande ne La Piacenza che era.

La partecipazione è libera (precedenza ai Soci e ai Clienti della Banca). Per motivi organizzativi, si invita a preannunciare la propria presenza ([email protected]; 0523 542137).

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