Com’era la chiesa del Carmine prima dell’ultimo restauro

Una storia lunga 800 anni ripercorsa a Palazzo Galli della Banca di Piacenza. Dibattito con gli architetti Elena Gardi e Giorgia Rossi. Necessarie due sale per contenere il folto pubblico

Intanto che permane il dibattito sul discusso restauro della chiesa del Carmine, la Banca di Piacenza ha organizzato – nell’ambito del suo Autunno culturale – un incontro su com’era il tempio prima dell’ultimo intervento, seguito a Palazzo Galli da un numerosissimo pubblico (ospitato, oltre che in Sala Panini, nella Sala Verdi video collegata).

A raccontare la storia del monumento, gli architetti Elena Gardi e Giorgia Rossi – autrici del volume “Santa Maria del Carmine, il tempio delle memorie dimenticate” (Tep edizioni d’arte con il contributo della Banca di Piacenza) – introdotte dal vicedirettore generale dell’Istituto Pietro Boselli.

L’arch. Gardi ha ripercorso le tappe più significative della storia di questo edificio religioso che – prima degli studi compiuti per la realizzazione del volume – «non veniva più percepito come memoria della città». L’Ordine dei Carmelitani si stabilì a Piacenza nel 1270 e si può ipotizzare che si fosse insediato nell’antica chiesa di Santa Maria Iunense. La zona era quella di via Borghetto (piccolo borgo), luogo di transito dei pellegrini (la funzione dei frati era quella di accoglierli).

I padri carmelitani avrebbero voluto innalzare la fabbrica della nuova chiesa (che avrebbe inglobato Santa Maria Iunense) già agli inizi del 1300, ma la prima pietra fu invece posta nel 1334. Nata romano-gotica, tale rimase fino al XIV-XV secolo, poi iniziò a cambiare fisionomia con la costruzione di cappelle di famiglia. Nel 1695 la chiesa assunse una veste barocca, con capitelli, stucchi e le colonne fasciate da pilastri. All’inizio del 1700 alcuni lavori resero la chiesa più viva e più bella, ma dalla metà del ‘700 iniziò un lento ed inesorabile declino.

Nel 1757, durante la guerra tra franco-spagnoli e austriaci, venne trasformata in ospedale militare. Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, l’occupazione napoleonica abolì gli ordini religiosi mendicanti e la proprietà del Carmine passò al Demanio dello Stato, compresi tutti beni in essa contenuti. Dal 1815 al 1847 gli austriaci la utilizzarono come caserma e stalla per i cavalli. La chiesa subì altre trasformazioni fino agli anni 40 del ‘900, poi i bombardamenti della II Guerra mondiale risparmiarono la struttura verticale, ma non quella orizzontale. Si deve all’architetto Berzolla il progetto di ristrutturazione che guarì le ferite del conflitto.

Non ci sono tracce documentali di quando si chiusero i lavori, si sa però che nel 1955 la chiesa risultava occupata da un rivenditore di legna e carbone. Negli anni ’60 tornò in uso al Comune che voleva demolire l’intero complesso, ma gli organi ministeriali non consentirono l’intervento. Progressivamente l’edificio degradò e subì diversi crolli. Il resto, è storia recente, con l’ormai completato restauro che ancora accende gli animi di favorevoli e contrari.

L’arch. Rossi ha incentrato il suo intervento sull’intreccio tra i risultati della ricerca documentale e le caratteristiche del bene dal punto di vista dei materiali con i quali è stato costruito e nei secoli restaurato spiegando, ad esempio, quante informazioni si riescono ad ottenere dall’esame della misura dei mattoni, diversa in ogni epoca.

L’arch. Gardi ha preso di nuovo la parola per ringraziale la Banca (per aver dato la possibilità di stampare il volume), la Tep e il prof. Amedeo Bellini, autore della premessa. In ricordo della serata, l’Istituto di credito ha donato alle autrici volumi sulla Galleria Ricci Oddi.

Publicità

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome