Cresce il lavoro dipendente in provincia di Piacenza: +1560 unità su base annua

Continuano a prevalere proposte di contratti a tempo determinato e somministrato, in larga maggioranza nel settore dei servizi.

Cresce il lavoro dipendente in provincia di Piacenza: +1560 unità su base annua

Si possono definire incoraggianti i dati sul lavoro dipendente diffusi dall’Agenzia Regionale per il Lavoro dell’Emilia Romagna: nel quarto trimestre 2018 si ravvisa che il saldo destagionalizzato fra le attivazioni e le cessazioni dei rapporti di lavoro è stato di 503 unità, comportando così un incremento delle posizioni di lavoro dipendente su base annua pari a 1.560 unità.

Un trend in continuità dal 2015, ma qualifica il bilancio occupazionale relativo al 2018 in virtù di un significativo aumento della componente a carattere permanente dell’occupazione.

 

Approfondendo il dato grezzo, si può notare come il valore trainante sia quello relativo ai servizi, che risulta essere quello più “attivo” sia in termini di nuovi contratti sia di cessazioni, con ben 28 mila 849 attivazioni e 28 mila 130 cessazioni. (Per “altre attività di servizi” stando ai Codici ATECO si intendono riparazioni di varia natura, organizzazioni associative, ma anche servizi alla persona come parrucchieri, istituti di bellezza e benessere fisico, pompe funebri, tatuaggi e piercing, cura degli animali e lavanderie).  

Volendo osservare il dato da un’altra prospettiva, si potrebbe cercare di capire che tipo di contratto viene offerto. Perchè se da un lato è vera l’importanza del dato occupazionale in senso stretto, è importante anche verificare che tipo di contratto viene offerto dai datori di lavoro.

Ebbene, anche in questo caso vediamo come le attivazioni principali riguardano contratti a tempo determinato e le somministrazioni (che sommati fanno 46 mila contratti complessivi su circa 55 mila attivazioni complessive). Col segno + comunque anche i contratti a tempo determinato, 812 nell’arco dell’anno ma col segno – nell’ultimo trimestre.

ARTIGIANI IN CRISI

E’ possibile incrociare questi dati con quelli recenti dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre che certifica 6500 aziende artigiane in meno nei primi 6 mesi del 2019 in Italia, con l’Emilia Romagna che segna il dato peggiore (-761). Si tratta tuttavia di un trend negativo che dura da 10 anni. Complessivamente si registrano 165 mila unità.

Per azienda artigiana si può intendere un’attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Quali sono le cause? “La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività. E per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale”. Senza contare lo spettro dell’aumento dell’Iva, per un settore che è sempre stato sinonimo di eccellenza e made in Italy.

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