Dai documenti dell’Archivio del Venerabile Collegio Inglese di Roma nuova luce sulla storia di Piacenza

È quanto emerso durante un convegno dedicato alla Basilica di San Savino

«La lunga storia del Venerabile Collegio Inglese di Roma e i suoi collegamenti con Piacenza è rimasta finora abbastanza sconosciuta: una volta il Collegio era una delle istituzioni più potenti e ricche della regione. Dal 1581 al 1797 l’abbazia di San Savino e i suoi terreni facevano parte del portafoglio piacentino del Collegio, il quale aveva procuratori residenti a Piacenza e Parma per amministrare le case e i terreni posseduti. Le rendite dell’allora monastero saviniano venivano destinate al Venerabile Collegio quale contributo alla formazione del clero cattolico inglese che, dopo lo scisma anglicano, tornava in patria rischiando il martirio per alto tradimento». Questo uno dei tanti aspetti interessanti emersi al convegno internazionale di studi (svoltosi oggi, sabato 24 settembre, al PalabancaEventi, Sala Panini, con il condirettore generale della Banca di Piacenza a fare gli onori di casa in qualità di presidente del Comitato organizzatore dei 500 anni dalla posa della prima pietra di Santa Maria di Campagna) che ha fatto il punto sul percorso di ricerca europeo che coinvolge l’edificio religioso dedicato al secondo vescovo di Piacenza.
Dopo i saluti del sindaco Katia Tarasconi (che ha ringraziato la Banca di Piacenza per tutto quello che fa in ambito culturale e rimarcato il rapporto di collaborazione tra il Comune e l’Istituto di credito) e del vicario generale della Diocesi don Giuseppe Basini (che ha sottolineato l’importanza degli studi sul monastero di San Savino), Maurice Whitehead, direttore dell’archivio del Venerabile Collegio Inglese di Roma, ne ha ricordata l’origine (fondato a Roma nel 1362, risulta essere la più antica istituzione inglese all’estero) e il ruolo avuto nei secoli nella formazione di migliaia di seminaristi, 44 dei quali – tra il 1581 e il 1679 – furono giustiziati una volta tornati in patria da sacerdoti. Il dott. Whitehead ha anche riferito della straordinaria scoperta fatta nel loro archivio di ben 15mila manoscritti legati al periodo nel quale l’abbazia di San Savino e i relativi terreni appartenevano al Collegio Inglese.
La sessione mattutina – coordinata da Johan Ickx, direttore dell’Archivio storico della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato della Santa Sede – è proseguita con l’intervento di Michela Catto (Università di Torino), che ha analizzato alcuni contenuti dell’opera di Daniello Bartoli (1608-1685) dedicata alla Compagnia di Gesù (che resse per un certo tempo il Collegio Inglese), soprattutto quelli riferiti alle peculiarità del già accennato martirio dell’Inghilterra nei confronti dei cattolici («per motivi sì religiosi, ma anche politici»), approfondendo anche l’utilità della missione dei giovani sacerdoti che partivano dal Collegio Inglese di Roma.
Dei mesi del mosaico di San Savino ha invece trattato Paola Galetti (Università di Bologna), confrontando lo stesso con quello di Bobbio e con Codice 65 della Cattedrale di Piacenza (Liber Magistri), allargando poi il campo ad altri cicli dell’Italia centro-settentrionale. Le raffigurazioni delle attività (agricole) caratterizzanti ogni mese hanno permesso alla relatrice di approfondire aspetti della storia economico-sociale nel periodo medievale.
Johan Ickx ha quindi illustrato i contenuti della relazione di Emma Wall della Durham University (impossibilitata ad intervenire), presentando i primi risultati della inventariazione delle carte preservate nell’archivio del Collegio Inglese e dando un’idea della ricchezza delle collezioni e un assaggio della complessità ed entità delle operazioni del Collegio nella zona di Piacenza. «Le carte – ha osservato – sono tessere di un mosaico che può illuminare la storia del Collegio Inglese a Roma, la storia locale di Piacenza – che fu un faro culturale internazionale – e addirittura quella delle reti cattoliche su un livello internazionale».
La sessione pomeridiana, coordinata da Anna Riva, direttrice dell’archivio di Stato di Piacenza, ha visto i contributi di Nicola Mancassola (Università di Verona), che ha posto l’accento sul patrimonio fondiario del monastero e sulle relazioni politiche e sociali che i monaci seppero giocare nello scacchiere della Piacenza medievale, sottolineando che la rifondazione del monastero di San Savino all’inizio dellXI secolo da parte del vescovo Sigifredo rappresentò uno dei momenti più significativi della storia della nostra città.
Dal canto suo Maria Cristina Piva (Università eCampus) ha fornito una panoramica dei documenti provenienti dall’archivio del monastero di San Savino, ora conservati presso gli Archivi di Stato di Parma e di Piacenza, mentre Matteo Facchi (Università Cattolica), ha analizzato le sculture rinascimentali presenti nella chiesa di San Savino. L’arca dei santi Vittore, Donnino, Gelasio e Pellegrino fu realizzata da uno scultore lombardo nel 1481 e in seguito più volte spostata, riassemblata e integrata. Il tondo raffigurante Ruffino Landi, abate commendatario che fece ampliare gli appartamenti a lui riservati nel convento, fu realizzato nel 1496 da un lapicida lombardo. Il tabernacolo, firmato e datato da Pietro Calabrino nel 1510, permette di ricostruire l’attività di uno scultore non altrimenti noto dalle fonti, a cui si possono attribuire altri rilievi a Borgonovo, Castelsangiovanni e nella distrutta chiesa di Santa Brigida a Piacenza. E seguito un momento di dibattito moderato da Graziano Tonelli, già direttore dell’Archivio di Stato di Parma.
LA VISITA GUIDATA
Nell’ultima parte della mattinata i numerosi partecipanti al convegno hanno hanno potuto prendere parte alla visita guidata – sempre organizzata dalla Banca di Piacenza e curata da Manrico Bissi di Archistorica – volta a riscoprire i tanti elementi di interesse storico e artistico custoditi nella splendida basilica di San Savino che – ha spiegato l’arch. Bissi – «costituisce una delle più antiche e prestigiose basiliche di ascendenza paleocristiana ancora esistenti nella nostra città». Il suo primo nucleo sorse infatti nel secolo V all’esterno delle mura orientali di Placentia, occupando l’area di un’antica lo necropoli pagana: promotore del progetto fu il milanese Savino (330-420), all’epoca vescovo della nostra città. Prima della sua morte (si spense in tarda età nell’anno 420) egli aveva però scelto la necropoli posta tra la Via Aemilia (via Roma) e la Via Postumia (via G. Alberoni) per fondarvi una basilica cristiana destinata alla propria sepoltura. Secondo la volontà dello stesso Savino, la chiesa fu dedicata originariamente ai Dodici Apostoli; nella devozione religiosa piacentina il ricordo del Santo vescovo fondatore finì tuttavia per sovrapporsi alla dedica originaria, e la basilica venne quindi riconsacrata al culto di San Savino. Benché di origine paleocristiana, la chiesa attuale – ha specificato il presidente di Archistorica – è però il frutto di successive riconfigurazioni, la prima delle quali venne attuata tra i secoli X e XII, dopo che le invasioni ungariche (903-924) avevano distrutto l’antica basilica primigenia: a quella ricostruzione si deve l’ossatura planimetrica e strutturale del tempio odierno, così come la veste romanica delle sue navate e della pregevole cripta a mosaico. Data la sua posizione extra-muraria, tra i secoli X e XII il complesso saviniano venne dotato di proprie strutture difensive raccordate alle antiche cerchie urbane: tale borgo fortificato, indicato come Castrum Sancti Sabini, è oggi del tutto scomparso e si trovava probabilmente tra le odierne vie Guastafredda e Pantalini.

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