Fa discutere l’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari

Vaccinazione obbligatoria per medici e infermieri in Emilia Romagna

L’obbligo di vaccinare i bambini aveva già fatto discutere parecchio il nostro paese, in passato, dividendo l’Italia in favorevoli e contrari.

Ora che dalle scuole l’obbligo si trasferisce alle corsie d’ospedale la polemica si rinfocola e anzi si surriscalda.  L’Emilia Romagna dopo essere stata la prima regione rendere obbligatori i vaccini per l’iscrizione all’asilo nido compie un ulteriore passo ed estende l’obbligo vaccinale anche agli operatori sanitari.

Molti pensavano che a notizia sarebbe stata colta con favore da medici, infermieri e lavoratori della sanità ed invece non è così, almeno non per tutti. Si sono infatti registrate delle levate di scudi da parte di sindacati del settore non tanto (o non solo) per l’obbligo in sé quanto per come è stata adottata la delibera da parte della Regione.

La posizione della Cigil

Alcuni giorni fa era intervenuta la FP CGIL Emilia Romagna che aveva detto:

«Non siamo contro le vaccinazioni e anzi riteniamo che esse siano stato uno degli elementi di sviluppo della Salute nel nostro paese, questa modalità d’azione della Regione comunque non ci convince e ci lascia alquanto perplessi. Abbiamo manifestato le nostre perplessità chiedendo che venisse costruito un percorso di coinvolgimento nella costruzione di una campagna finalizzata alla sensibilizzazione sulle vaccinazioni del personale sanitario, alternativa alla modalità coercitiva che invece ha scelto la regione.
Ci sembra infatti che con questa modalità di azione si vincoli il personale non vaccinato alle quattro vaccinazioni inserite di recente tra gli obblighi nel calendario vaccinale, ovvero morbillo parotite rosolia è varicella, a sottoporsi ad esse per rimanere a lavorare nel proprio reparto o nel proprio servizio.
Oltre alla contrarietà alle decisioni unilaterali, anziché l’utilizzo del metodo partecipativo, ci sembra alquanto velleitaria la possibilità che interi blocchi di lavoratori siano obbligati a trasferirsi in altri reparti lasciando così sguarniti i reparti dove erano assegnati, reparti nei quali dovranno essere inseriti nuovi operatori che dovranno essere addestrati e inseriti in percorsi di formazione impegnativi e di lunga durata»

Oggi, sullo stesso argomento la Cisl Emilia Romagna ha diffuso un comunicato intitolato:

Cisl: “Vaccinazioni  sì o no”

«Siamo assolutamente contrari e amareggiati dell’uso politico e strumentale che è stato fatto e si continua a fare intorno ad un tema così delicato ed importante come le vaccinazioni. L’obbligo di una determinata serie di vaccinazioni deve rispondere esclusivamente a motivazioni di carattere scientifico ed epidemiologico: la Sanità pubblica ha il dovere di salvaguardare la salute dei propri professionisti, della collettività e di ogni singolo individuo attraverso misure preventive anche di carattere obbligatorio e tanto più in strutture come quelle ospedaliere che per definizione erogano Salute.

L’ultima campagna politica si è appropriata del tema delle vaccinazioni e temiamo che l’attuale campagna per le prossime elezioni delle RSU stia fortemente condizionando una discussione che dovrebbe restare nel merito e non inseguire facili consensi: a nessuno piace vaccinarsi, il tema è se serve a prevenire un contagio per sé stessi e per gli altri.

La CISL pertanto riconosce alla Sanità, in particolare a chi è preposto alla tutela della salute dei lavoratori e a chi è preposto alla tutela della salute dei pazienti, il diritto di determinare i requisiti che un operatore sanitario deve possedere per poter operare in determinati reparti. E’ una grande opportunità per tutelare sé stessi e tutte le persone che si hanno in cura. Ricordiamo in proposito quante battaglie abbiamo fatto come sindacato, a volte contro le stesse Aziende sanitarie, per il riconoscimento delle malattie professionali contratte in servizio dagli operatori sanitari e tutti gli sforzi fatti per rendere i posti di lavoro sempre più sicuri per i professionisti ed i pazienti. Ricordiamo in proposito quanto sia oneroso e serio per la Sanità il problema di rendere le nostre strutture sanitarie immuni dalle infezioni e dai contagi: ogni cittadino, dai bambini agli anziani, degenti in un ospedale si aspettano di guarire e di non contrarre qualche altra malattia.

La CISL crede nella maturità e senso di responsabilità degli operatori sanitari, ne riconosce le fatiche e i doveri: sono professionisti a tutto campo, in formazione scientifica e senso etico.

Sono professionisti anche coloro che daranno  attuazione a queste nuove indicazioni, dovranno procedere con la necessaria gradualità in dialogo con gli operatori coinvolti e trovare le opportune soluzioni in collaborazione anche con i sindacati.

Col medesimo rigore riteniamo che l’Assessorato avrebbe dovuto convocare le Confederazioni sindacali prima di assumere una delibera su un tema così importante e delicato, che coinvolge non solo una fetta consistente di operatori sanitari ma l’intera cittadinanza e l’organizzazione sanitaria della nostra Regione.

Nel confronto con le rappresentanze sindacali bisogna crederci fino in fondo e non “alla bisogna”».

Rischio biologico in ambiente sanitario

Oggi in Regione durante la commissione Politiche per la salute, presieduta da Paolo Zoffoli, è stata illustrata l’informativa “Rischio biologico in ambiente sanitario. Linee di indirizzo per la prevenzione delle principali patologie trasmesse per via ematica e per via aerea, indicazioni per l’idoneità dell’operatore sanitario”.

In buona sostanza, d’ora in poi, chi lavora in reparti ad alto rischio come pronto soccorso, centro trapianti o neonatologia dovrà vaccinarsi contro morbillo, parotite, rosolia e varicella.

«In Italia – fa sapere l’Assemblea Legislativa regionale – ogni anno 500mila pazienti sviluppano un’infezione collegata all’assistenza ospedaliera e circa 2mila decessi sono direttamente riconducibili a questo tipo di problema.
Questo significa che “la distinzione tra infezione nosocomiale (da paziente infetto a paziente e da ambiente a paziente) – si legge nel documento-, infezione occupazionale (da paziente infetto a operatore) e da operatore infetto a paziente altro non sia che una settorializzazione di un problema generale che per trovare soluzione deve essere affrontato nella sua globalità”.
Per questo “le vaccinazioni negli operatori sanitari hanno una triplice valenza di sanità pubblica: proteggono l’utente del servizio sanitario che, proprio in quanto tale, si trova il più delle volte in una condizione di maggiore suscettibilità alle infezioni; proteggono l’operatore sanitario che, per motivi professionali, è maggiormente esposto al contagio; tutelano il servizio sanitario che, in situazioni epidemiche, potrebbe fronteggiare una carenza acuta di personale”. I reparti considerati più a rischio sono Oncologia, Ematologia, Centro trapianti e dialisi, Neonatologia, Ostetricia, Pediatria, Malattie infettive, Rianimazione e Pronto soccorso».

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