Il Dpcm Conte usa il termine “congiunti” che nel nostro diritto non esiste (o quasi)

Quella che è forse una delle poche vere novità del decreto presentato questa sera dal presidente del Consiglio (libertà di andare a trovare i parenti) si basa su un termine giuridicamente "opaco" ed aperto a diverse interpretazioni

Chi scrive i decreti (e le ordinanze)? E’ la domanda che sorge ormai spontanea ogni qualvolta esce un nuovo Dpcm di Giuseppe Conte od un provvedimento regionale.

Questa sera è stato presentato il testo di quella che avrebbe teoricamente essere la fase 2 e che nei fatti assomiglia alla fase 1 con qualche piccolo maquillage.

Senza entrare nel merito delle scelte (e se queste siano giuste o meno) leggendo il corposo e verboso documento – composto da ben 20 pagine – saltano all’occhio varie, evidenti contraddizioni (che tralasciamo).

Fra le stranezze che più balzano all’occhio (per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le materie giuridiche) c’è la parte dell’articolo 1 in cui si dice che sono possibili spostamenti per incontrare congiunti. Si tratta forse della maggiore novità contenuta nel decreto.

Strana perché la scelta della parola congiunti è incomprensibile dal punto di vista giuridico. Nel nostro diritto esistono termini molto precisi per definire le relazioni fra le persone ad esempio coniuge per la moglie, parente di grado x per un consanguineo (padre, madre, nonno, cugino, nipote etc.), affine (per un parente del proprio coniuge come un cognato). Il termine congiunto esiste certamente nella lingua italiana ma nel diritto trova rara ospitalità e compare solo nel diritto penale.

L’art. 307 4° comma c.p., dà una definizione di “prossimi congiunti”  specificando che “Agli effetti della legge penale, s’intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”.

La Corte di Cassazione in una sentenza di qualche anno fa (Cass. Pen., 46351/2014) aveva dato una interpretazione più ampia della definizione di “prossimo congiunto” ammettendo ai fini di un risarcimento la fidanzata della vittima ritenendo che in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo, si possa “prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali”.

La stessa corte di Cassazione (sez. VI penale) con la sentenza 14 marzo 2019, n.11476 aveva stabilito che anche due persone conviventi more uxorio siano da ritenersi “prossimi congiunti”.
Al di fuori della legge penale non è assolutamente chiaro né compiutamente definito, da un punto di vista normativo, chi si debba intendere per prossimo congiunto, Figuratevi per congiunto e basta!

Un termine che (da solo) non esiste in nessun testo e di cui conseguentemente non vi è alcuna definizione.

Lascia dunque a bocca aperta la scelta di utilizzare “congiunti” nel decreto di Conte. Che un avvocato ed il suo pool di esperti e giuristi abbia scelto un termine dal significato giuridico “opaco” ha dell’incredibile e rischia di aprire la porta a centinaia di futuri contenziosi.

 

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