Giorno della Memoria. La cerimonia a Piacenza per commemorare le vittime della Shoah

Si è tenuta questa mattina (venerdì 27 gennaio) presso il Giardino della Memoria sullo Stradone Farnese, la cerimonia di commemorazione delle vittime della Shoah, nel 78° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz.

Sono intervenuti il prefetto Daniela Lupo, il presidente della Provincia Monica Patelli e il sindaco di Piacenza Katia Tarasconi.

Ai discorsi istituzionali è seguita la consegna delle medaglie d’onore concesse dal presidente della Repubblica ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale. Tre, quest’anno, le onorificenze alla memoria, assegnate in ricordo di tre militari: Giorgio Boselli, Giulio Tinelli, Paolo Zucchi.

Alla Memoria di BOSELLI GIORGIO, militare deportato dal 20/09/1943 al 20/06/1945 e internato a Linz Donau, ritirano la medaglia i figli Anna e Giovanni Boselli e il pronipote Giorgio Bellinzona.

Hanno consegnato la medaglia il Prefetto Daniela Lupo, il Sindaco di Castelvetro Piacentino Luca Quintavalla e il Direttore del Polo di Mantenimento Pesante Nord, brigadier generale Giovanni Di Blasi.

Alla memoria di TINELLI GIULIO militare deportato dal 27/09/1943 al 22/08/1945 e internato in Germania ritirano la medaglia i figli Paola e Stefano.

Hanno consegnato la medaglia il Prefetto Daniela Lupo, il sindaco di Piacenza Katia Tarasconi e il Direttore del Polo Nazionale Rifornimenti, brigadier generale Daniele Durante.

Alla memoria di ZUCCHI PAOLO militare deportato fino al 01/06/1945 e internato a Linz Donau ritirano la medaglia la figlia Zucchi Giuseppina e la nipote Arianna Cavalli.

Hanno consegnato la medaglia il Prefetto Daniela Lupo, il Sindaco di Cadeo Marica Toma, il Vicesindaco di Cortemaggiore Stefano Rancan e il Comandante del 2° Reggimento Genio Pontieri di Piacenza, colonnello Fabio Frattolillo.

Un momento di preghiera e benedizione è stato affidato a don Giuseppe Basini, vicario generale e parroco di Sant’Antonino

Il discorso del sindaco Tarasconi

“… ad Auschwitz tante persone, un solo grande silenzio…” .

E davvero credo anch’io che non ci siano parole adeguate, sufficienti a contenere l’enormità, l’orrore che i campi di sterminio hanno rappresentato nella storia dell’umanità. Eppure bisogna alzarla, la voce, all’unisono: per esprimere ancora una volta lo sdegno, la commozione che toglie il fiato, l’impossibilità di comprendere e accettare la Shoah come mera conseguenza dell’estremismo politico o, come dicono gli esperti di teorie belliche, “danno collaterale” del conflitto.

No. L’ideologia razziale e persecutoria del nazifascismo fu ben altro e molto più di questo. Fu la deriva dell’uomo e della sua identità universale, la discesa verso un abisso di violenze pianificate con aberrante razionalità: perché, scrisse Hannah Arendt, “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale”. E come lei Primo Levi: “I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere davvero pericolosi. Lo sono di più gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e obbedire senza discutere. Tutti devono sapere, o ricordare, che Hitler e Mussolini, quando parlavano pubblicamente, venivano creduti, applauditi, ammirati, adorati come dèi. Per questo, meditare su quanto è avvenuto è un dovere di tutti”.

A chiedercelo, interrogando le nostre coscienze di cittadini che credono nella pace e nella democrazia, nella libertà e nel rispetto, nella solidarietà e nel valore della memoria, sono i sei milioni di Ebrei brutalmente assassinati nel folle disegno della soluzione finale accanto a milioni tra civili e prigionieri sovietici, polacchi, slavi e oppositori al regime nei territori occupati, centinaia di migliaia tra persone disabili, Rom, Testimoni di Geova e omosessuali. Ce lo domandano le 800 mila vittime dei ghetti nelle città europee e delle rappresaglie armate lungo la spina dorsale del nostro Paese, le famiglie deportate come bestiame verso i lager, i partigiani e gli antifascisti che hanno animato la lotta per la Resistenza italiana.

Ci sprona a farlo, infine, l’amarezza che la senatrice Liliana Segre, destinataria di minacce sempre più pesanti, ha manifestato in questi giorni: “Quando uno vecchio come me, che ha visto prima l’orrore, arriva a sentire che si nega addirittura quel che è stato, la coscienza si sveglia. Dopo che sei stato silenzioso, ammalato, non capito, a un certo punto succede che si diventi pessimista. E che si ritenga che tra qualche anno, della Shoah, ci sarà una riga sui libri di storia. Poi nemmeno quella”. E’ per questo, che la nostra presenza oggi ha un significato prezioso, nell’esprimere il senso più autentico della memoria intesa come impegno attivo e partecipe per il presente, come patrimonio collettivo da proteggere, come progetto orientato al futuro, eredità e guida affinché le generazioni a venire possano non smarrire mai la strada giusta.

Perché la tragedia immane dell’Olocausto – come si può leggere nella toccante testimonianza di Agnes Gertrude Wohl, sopravvissuta, a soli 11 anni, alle perquisizioni e alle fucilazioni di massa nelle strade di Budapest – “si ripete ogni volta che una persona muore a causa dell’odio o del pregiudizio altrui”. E’ un’esortazione importante, questa, a non rimanere inerti di fronte al dolore del mondo, consapevoli di quanto peso l’indifferenza abbia avuto, trasformandosi in complicità, nel favorire l’ascesa del nazifascismo, l’incedere inarrestabile delle discriminazioni e la loro vorticosa, drammatica evoluzione verso il genocidio.

Risuona forte, allora, la denuncia del pastore protestante Martin Niemoller, nel riflettere sulle colpe collettive della società che permise tutto questo: “Prima vennero per i Comunisti e io non dissi niente, perché non ero comunista. Poi vennero per i Socialdemocratici e io non dissi niente, perché non ero Socialdemocratico. Vennero per i Sindacalisti ma io non dissi niente, perché non ero un sindacalista. Poi vennero per gli Ebrei e io non dissi niente, perché non ero ebreo. Infine vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.

Publicità

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome