Gli studenti di Medicina in inglese giudicano la loro facoltà: “Quasi impeccabile però ci sentiamo un po’ periferici rispetto a Parma”

Dopo le difficoltà iniziali anche il problema della scarsità di alloggi si è risolto

Ci sembrava giusto chiudere la nostra inchiesta sulla facoltà Medicine and Surgery dell’Università di Parma dando la parola ad alcuni fra i primi cento studenti che hanno scommesso sulla neonata sede piacentina. Visto che saranno loro, per i prossimi sei anni, a vivere nelle aule dell’Opera Pia Alberoni a San Lazzaro, abbiamo cercato di capire come giudicano il corso prescelto. Per evitare che fossero condizionati dal timore di dire qualche parola di troppo, mettendosi in posizione scomoda nei confronti del corpo docente, abbiamo scelto di accomunare le loro risposte come se fossero rese da un unico interlocutore.

Come mai scegliere medicina in inglese anziché quella tradizionale?

«Molti tentano entrambi gli esami e poi decidono quale opzione scegliere. Parecchi fra quelli che sono qui a Piacenza hanno frequentato un anno delle superiori all’estero ed hanno optato per  il corso in inglese quasi come continuazione di quell’esperienza che li ha appassionati».

Studiare medicina è già tosto di per sé. Farlo in una lingua che non è quella madre non complica le cose?

«Tosto lo è certamente ma, anche per come è organizzato, il corso ci sembra fattibile. Ci si abitua gradualmente anche perché al primo anno si affrontano materie come chimica, biologia, fisica che già si conoscono in inglese. Su questa base si costruisce gradualmente il lessico medico scientifico. Alla fine il metodo per studiare ed affrontare gli esami, l’approccio, sono esattamente gli stessi. La lingua è un ostacolo in più ma superabile».

Da questi primi mesi come vi sembra che funzioni la nuova facoltà?

«Le cose funzionano bene. L’organizzazione è quasi impeccabile, nel senso che tutto quello che potevano fare l’hanno fatto.  Chiaramente essendo il primo anno di corso ci sono alcune piccoli problemi. Fra studenti ci aiutiamo a vicenda e stiamo procedendo nel migliore dei modi».

Quali sono le cose che non vanno?

«Niente di veramente importante. Certo abbiamo avuto qualche professore che ci è sembrato non proprio a suo agio con il dover insegnare in inglese, probabilmente perché non avevano una padronanza perfetta della lingua. E’ stata la prima volta anche per loro».

Nel complesso come è il livello di confidenza linguistica dei docenti?

«Tranne le eccezioni di cui dicevamo, la gran parte padroneggia molto bene l’inglese.  L’impressione è che i professori siano qualificati sia dal punto di vista della disciplina che insegnano sia per la capacità di parlare in una lingua straniera. Sono tutti docenti che hanno fatto esperienze all’estero, alcuni in nord Europa. A dicembre abbiamo anche avuto un professore italiano che però insegna negli Stati Uniti».

Insomma siete soddisfatti di come stanno andando le cose?

 «Siamo molto contenti. Diciamo che sono più i lati positivi rispetto a quelli negativi. Forse vorremmo sentirci un po’ meno “periferici” rispetto alla sede principale di Parma».

Vi sentite lontani da Parma per questioni burocratiche, per la lontananza di servizi come la segreteria?

«In realtà abbiamo una piccola segreteria proprio a fianco della nostra aula. Diciamo che tutte le cose, gli eventi si svolgono a Parma … ci sentiamo un po’ fuori dal giro. Ci piacerebbe essere maggiormente coinvolti. Siamo in contatto continuo con ragazzi di Parma, quelli del corso in italiano. Il loro aiuto è prezioso soprattutto ci aiutano a rapportarci con il coordinatore del corso con cui, fino ad ora abbiamo avuto poche occasioni di rapportarci e che è appunto sempre a Parma. A breve dovrebbe iniziare a fare lezione qui da noi ed avremo occasione di parlare direttamente con lui. Anche i nostri rappresentanti sono nuovi nel loro ruolo, li abbiamo appena eletti. Ricevono un grande aiuto dai rappresentanti degli studenti della sede centrale».

Rappresentanti che già a casa loro hanno una serie di problemi da gestire, visto che nella sede centrale di Parma non è tutto “rose e fiori”. Lamentano ad esempio il fatto che, con il Covid, siano state chiuse le aule di studio, di non avere uno spazio dove consumare i pasti, di non avere una mensa dedicata.

«Da questo punto di vista allora siamo più coccolati noi.  Abbiamo un’aula studio adiacente alla sala Arazzi, dove facciamo lezione. Inoltre è stata stipulata una convenzione con l’Università Cattolica (che è di fronte) per la mensa e ci sono state messe a disposizione alcune salette per consumare i pasti portati da casa».

Come va sul fronte alloggi? Inizialmente molti di voi facevano fatica a trovare appartamenti o stanze.

«All’inizio sicuramente ci sono stati problemi grossi per trovare alloggi. Pian piano quasi tutti hanno trovato una soluzione definitiva e anche l’Università si è data da fare per aiutarci. Per l’anno prossimo, quando arriveranno altri cento studenti, c’è da augurarsi che l’offerta si sia ampliata perché altrimenti saranno problemi seri».

Chi sono gli iscritti

«La pattuglia più grande di studenti iscritti alla sede piacentina di Medicine and Surgery proviene dal nord Italia (soprattutto Lombardia e Piemonte). I piacentini sarebbero un paio o poco più, così come sono pochissimi i ragazzi del centro Italia. Leggermente più numerosi quelli provenienti dal sud».

Qui sotto le puntati precedenti della nostra inchiesta.

 

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