Guardia medica di Ferriere: “La confusione non la fa l’ordinanza del sindaco ma anni di tagli alla sanità”

Lo sotiene il Coordinamento provinciale dei comitati su sanità e medicina territoriale che risponde così alla nota della prefettura che aveva "tirato le orechie" al sindaco dell'alta Valnure

Il Coordinamento provinciale dei comitati sanità e medicina territoriale ha diffuso alcune osservazioni sulla recente discussione nata attorno alla cancellazione delle guardie mediche di Ottone e Ferriere, anche alla luce della prevista convocazione, per il prossimo 11 gennaio, della conferenza sociosanitaria provinciale.

Sanità Piacentina: A proposito di confusione

«Ci sta che la prefettura sia intervenuta sull’ordinanza de sindaco di Ferriere, anche se, come tutti sanno non è una vera ordinanza ma semplicemente una azione provocatoria nei confronti della decisione di cessare (non si sa per quanto) il servizio di guardia medica in alta val d’Arda (senza dimenticare quella di alta Val trebbia).
La prefettura interviene preoccupata che tale provocazione non debba concorrere ad aumentare la confusione tra la popolazione. In realtà la confusione è già grande di per sè e l’iniziativa del comune di Ferriere andrebbe semmai letta come denuncia di questa confusione.
Una confusione (quella legata alla carenza di personale) che certamente nasce dall’emergenza Covid ma, non dimentichiamolo, anche da anni di politiche di taglio alla sanità, di tetti (nazionali e regionali) alle assunzioni, da anni di “numero chiuso alle facoltà di medicina, da condizioni contrattuali che hanno portato migliaia di giovani medici ed infermieri diplomati a cercare lavoro all’estero o nella sempre maggiore presenza della sanità privata.
Se è lecito intervenire, come ha fatto la questura, per evitare che aumenti la confusione tra la popolazione è bene quindi non dimenticare da cosa questa confusione è stata generata negli ultimi anni.
Non ultimo un piano sociosanitario provinciale (quello approvato nel 2017) i cui limiti sono periodicamente sottolineati da diverse amministrazioni locali (quando devono rendere conto ai loro cittadini delle ricadute negative di questo piano sulla loro realtà locale), e che lo stesso Ministro Speranza, nella sua ultima visita nel piacentino avevo denunciato come “Jurassico”.
Peccato che poi nulla si sia mosso concretamente per rimettere veramente mano a quel piano sociosanitario (tutt’ora in vigore) che richiederebbe invece una urgente revisione sopratutto sulla rete ospedaliera, sulla medicina territoriale e sulla effettiva
integrazione tra i due livelli.
Se una urgenza c’è oggi è quella di riaprire un serio confronto sulle scelte di investimento per i prossimi anni. Di fronte alle fragilità con cui oggi ci confrontiamo non serve affidarsi solo al progetto di nuovo ospedale, per altro pronto se va bene fra non meno di 10 anni (con conseguente riconversione e ridimensionamento degli altri), ma rimettere subito in condizioni di operare al meglio i 4 centri sanitari (ospedali di Piacenza, Castel San Giovanni, Fiorenzuola, Bobbio) attorno a cui creare quella rete di medicina territoriale che non può basarsi solo sulla presenza dei medici di medicina generale.
La confusione vera, quella che andrebbe risolta, nasce dalla riduzione della copertura sanitaria del servizio pubblico, che non è causata solo dall’emergenza Covid (semmai l’ha resa ancor più evidente), ma da scelte nazionali, regionali, di piano provinciale che bisogna avere il coraggio di cambiare.
Sappiamo ora che il prossimo 11 gennaio è convocata una seduta della conferenza sociosanitaria provinciale con all’ordine del giorno una prima discussione sull’utilizzo dei fondi del PNRR e una risposta alle recenti polemiche sulle guardie mediche sospese e sul pronto soccorso di Castel San Giovanni.
C’è da augurarsi che in questa seduta si provi ad aprire ad una visione più generale capace di ripensare al piano provinciale per portarlo a rispondere più direttamente ai bisogni che il territorio esprime, oggi (potenziando le strutture già esistenti) e non fra 10 anni (con un nuovo ospedale che concentrerà sul solo capoluogo la maggior parte degli interventi)».

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