I sindacati piacentini contro la “cancellazione” della clausola sociale prevista dalla riforma degli appalti

Nel nuovo DDL Appalti la “clausola sociale” che garantisce continuità occupazionale e salariale in caso di cambio appalto diventa una possibilità, e non un obbligo

Gli appalti vengono sempre più spesso utilizzati dagli enti pubblici per svolgere funzioni un tempo assegnate a propri dipendenti. Così a Piacenza – ad esempio – le persone che accolgono il pubblico all’ufficio anagrafe non sono dipendenti comunali ma lavoratori di una cooperativa. Allo stesso modo la biglietteria di Palazzo Farnese è gestita da una cooperativa. Le piscine comunali sono appaltate all’esterno e così via, la lista potrebbe essere lunghissima. Anche nelle aziende private, grazie a leggi che lo hanno permesso, si è sviluppato il fenomeno dell’outsourcing che in partica permette di spostare alcuni dipendenti presso aziende esterne di fatto per svolgere esattamente lo stesso lavoro di prima, solo che con meno diritti e meno sicurezza contrattuale. Il rischio maggiore negli appalti è quello di avere lavoratori meno sicuri del proprio posto. Proprio per questo esiste, negli appalti degli enti pubblici, la cosiddetta “clausola sociale” che cioè impegna l’eventuale vincitore dell’appalto a farsi carico dei dipendenti già impiegati per quel lavoro. Un sistema che non sempre funziona ma che è comunque meglio di niente. Solo che ora rischia di saltare a causa di una riforma in corso di approvazione.  Per questo i segretari generali di Cgil e Filcams, Cisl e Fisascat, Uil e Uiltucs di Piacenza hanno scritto una lettera inviata a tutti i parlamentari piacentini (On. Bersani, On Foti, On. De Micheli, On. Murelli e Sen. Pisani) riguardante il disegno di legge sugli appalti che rischia di rendere del tutto facoltativa la “clausola sociale” nel cambio appalti.

Nel nuovo DDL Appalti la “clausola sociale” che garantisce continuità occupazionale e salariale in caso di cambio appalto diventa una possibilità, e non un obbligo. “Un pericoloso arretramento in termini di tutela di lavoratori e lavoratrici e un ingiustificato passo indietro di ben sei anni, che le chiediamo di cancellare”. Questo il “cuore” dell’appello che i vertici provinciali e di categoria dei sindacati confederali hanno inviato in queste ore ai parlamentari piacentini. Iniziative analoghe hanno raggiunto i Ministri competenti e i presidenti delle commissioni parlamentari interessate dall’iter legislativo.

La missiva firmata dai vertici provinciali dei sindacati confederali e di categoria di Piacenza Gianluca Zilocchi ed Elisa Barbieri (Cgil e Filcams); Michele Vaghini e Silvia Foschini (Cisl e Fisascat); Francesco Bighi e Vincenzio Guerriero (Uil e Uiltucs) ha raggiunto gli onorevoli Pierluigi Bersani, Paola De Micheli, Tommaso Foti, Claudia Murelli e il senatore Pietro Pisani in queste ore.

Se da un lato nel disegno di legge ci sono “importanti integrazioni e riconferme condivise e giudicate positivamente dalle scriventi” organizzazioni sindacali, d’altro canto “una norma grave e inaccettabile in relazione alla facoltà -non già all’obbligo- di inserire clausole sociali nei bandi di gara d’appalto” rappresenta “un pericoloso arretramento.

“Allo stato attuale, il venir meno dell’obbligatorietà della clausola sociale, architrave del sistema sulla quale sono costruite le dinamiche del cambio appalto, vanifica di fatto questi risultati e costituisce un gravissimo passo indietro nel percorso di riconoscimento e tutela dei diritti di centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, che vedono per l’ennesima volta messa in secondo piano la tutela del proprio posto di lavoro e delle loro condizioni occupazionali” scrivono i sindacati.

Qui di seguito la lettera integrale inviata ai Parlamentari (on.Pierluigi Bersani, on.Paola De Micheli, on.Tommaso Foti, on.Claudia Murelli, sen.Pietro Pisani).

«Gentile Senatore/Senatrice/Deputato/Deputata

Nelle scorse settimane, in Senato è stato discusso e approvato il DDL Appalti il cui testo, sebbene veda importanti integrazioni e riconferme condivise e giudicate positivamente dalle scriventi/e, presenta una norma grave e inaccettabile in relazione alla facoltà -non già all’obbligo- di inserire clausole sociali nei bandi di gara d’appalto, una configurazione del dettato normativo che se confermata segnerebbe un pericoloso arretramento in termini di tutela di lavoratori e lavoratrici e un ingiustificato passo indietro di ben sei anni, che le chiediamo di cancellare.

Le direttive europee in materia di appalti pubblici e concessioni hanno attenzionato il perseguimento di obiettivi di rilievo sociale e di rafforzamento della tutela di lavoratrici e lavoratori.

L’art. 70 DIR. 2014/24/UE in particolare prevede che le stazioni appaltanti possano esigere condizioni particolari in merito all’esecuzione dell’appalto, tra cui anche condizioni economiche, di ordine sociale e inerenti l’occupazione.

La ratio di tale impianto normativo si rinviene pertanto nella volontà di realizzare l’introduzione e la diffusione di clausole sociali volte alla continuità e salvaguardia dei livelli occupazionali in caso di cambio appalto

In recepimento delle direttive UE, il Codice dei Contratti Pubblici, D.lgs 50/2016, ha introdotto nel nostro ordinamento varie disposizioni volte a tutelare l’occupazione nei contratti pubblici: la più importante riguarda le clausole sociali quali «disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie» (art.3 lett. qqq del CCP).

L’art.50 del Codice dei Contratti Pubblici così come attualmente formulato risulta da un’importante modifica al dettato introdotta nel 2016 che prevede l’obbligatorietà della clausola sociale, oggi messa a rischio dal nuovo testo in discussione in Parlamento; ai sensi di quanto normato la clausola sociale è obbligatoria per i contratti ad alta intensità di manodopera.

Come istituto, la clausola sociale nasce appunto con l’obiettivo di garantire stabilità occupazionale al personale impiegato, ai sensi del dettato ex art. 30.4 del Codice Contratti Pubblici e in osservanza dei principi comunitari.

Ciò premesso, a nostro avviso è indubbio che non si possa prescindere da un’analisi di quelle che sarebbero le ripercussioni concrete della modifica passata in votazione al Senato: rendere quello che oggi si configura come un obbligo, una mera facoltà in capo alle stazioni appaltanti e di conseguenza agli operatori economici metterebbe inevitabilmente a rischio  il milione di lavoratrici e lavoratori degli appalti di servizi, destinandoli a situazioni di precariato cronico legato al periodico ciclo di cambio appalto.

L’obbligatorietà della clausola sociale finora in essere ha fatto sì che si consolidasse un modus operandi che ha visto negli anni una contrattazione d’anticipo tra le stazioni appaltanti e le organizzazioni sindacali finalizzata a garantire la salvaguardia occupazionale; rileva a tal proposito l’inserimento nei bandi di gara di premialità di punteggio a favore di quelle aziende che si fossero impegnate a mantenere le stesse condizioni normative e retributive, istituto in linea con le finalità previste dalle direttive UE sopracitate.

Allo stato attuale, il venir meno dell’obbligatorietà della clausola sociale, architrave del sistema sulla quale sono costruite le dinamiche del cambio appalto, vanifica di fatto questi risultati e costituisce un gravissimo passo indietro nel percorso di riconoscimento e tutela dei diritti di centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, che vedono per l’ennesima volta messa in secondo piano la tutela del proprio posto di lavoro e delle loro condizioni occupazionali.

Alla luce di quanto esposto, ci rivolgiamo a Senatori e Senatrici, Deputati e Deputate della Provincia di Piacenza affinché coloro i quali si siano già espressi favorevolmente in merito al passaggio da obbligo a mera facoltà della clausola sociale comprendano le pesanti ricadute di un voto in tale direzione , a chi si appresta a esprimersi prossimamente nel passaggio del DDL alla Camera chiediamo di reintrodurre l’obbligatorietà della clausola sociale nei bandi di gara per dare un segnale forte, in linea col dettato comunitario, e a favore della continuità e sostenibilità delle condizioni di lavoro negli appalti ad alta intensità di manodopera, circa un milione di lavoratrici e lavoratori quasi sempre soggetti a part-time involontario, spesso a poche ore settimanali, per la maggioranza donne che vedranno messo a rischio il loro posto di lavoro.

Ogni scelta che si opera ha delle conseguenze concrete nella vita di tutti i giorni di uomini e donne in carne e ossa: la scelta a cui siete chiamati è molto più di una revisione normativa, è scegliere tra stare dalla parte centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici o rimanere sordi alle loro esigenze, rischiando che l’introduzione di un solo vocabolo di modifica spazzi via un percorso acquisitivo in termini di diritti lungo anni e li condanni alla perdita del lavoro e a  situazioni di precariato senza più argini».

 

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