I trapper piacentini BWA: fra il sogno di sfondare con la musica e la vita di provincia

I musicisti raccontano la vita di strada e prendono le distanze da violenza, droga, illegalità. Un’intervista utile per vedere Piacenza con gli occhi di chi ha 20 anni

Doveva essere un’intervista su un gruppo trap piacentino ed  invece si è trasformata in una riflessione su cosa significhi essere ventenni a Piacenza in quest’epoca a cavallo fra la pandemia, la guerra e la normalità.

Dopo alcuni scambi di email e messaggi WhatsApp l’incontro con due dei tre componenti della BWA (Black White Alien) viene fissato davanti all’ex stazione delle corriere di piazza Cittadella: una scelta, la nostra, non casuale ma dettata dalla curiosità di vederli e fotografarli davanti a quell’edificio vergognosamente cadente che è un po’ il simbolo delle scelte sbagliate di questa città. Lì i BWA hanno ambientato parte del video di uno dei loro ultimi brani, Drip Lacoste, mentre l’altro set è stato il tetto dell’ex Motel K2, anch’esso stabile fatiscente ed abbandonato da anni, trasformato in “palco” estemporaneo per la loro musica.

Scattata qualche foto di rito, vista la mancanza di panchine dove accomodarci, ci trasferiamo sui tavolini di un vicino bar per parlare più comodamente di musica certo, ma anche di vita e quotidianità sulle strade di questa città. Una Piacenza che, stando al loro racconto, sotto una coltre di apparente operosità contadina e di sonnacchiosa vita padana, nasconde ben altro. Un lato grigio per non dire oscuro della città che ovviamente una musica come il rap non poteva esimersi dal raccontare, seppure a modo suo.

A proposito di celare qualcosa, mentre uno dei tre componenti dei BWA, Sir Thief , si presenta mostrandosi a volto scoperto, gli due altri preferiscono – forse per esigenze sceniche o per avvolgersi in coltre di mistero – non mostrare il volto. Ed infatti FROSTIE, durante gran parte dell’incontro, mantiene il volto coperto da uno scaldacollo che toglie solo quando la macchina fotografica è posata sul tavolo ed il gestore del locale serve i tè al limone che i ragazzi hanno ordinato. Davanti alla necessità di bere, giocoforza, “cade la maschera” e l’intervista si arricchisce di espressioni, smorfie, sorrisi che a volte dicono più delle parole.  Il terzo componente della band, SLECKP, è invece assente per altri impegni.

Quando siete nati come band?

«Siamo nati fra fine 2018 ed inizio 2019. Il primo pezzo è uscito nel 2019. E’ passato musicalmente tanto tempo. Eravamo un po’ inesperti ma allo stesso tempo eravamo già in hype. La gente qui già ci conosceva. Con il tempo le cose sono diventate un po’ più serie, nel senso adesso abbiamo obiettivi ben precisi, abbiamo preparato diversi pezzi, con i relativi video, ed abbiamo in programma diverse feat (collaborazioni musicali ndr), sia in zona Milano sia in giro per l’Italia. Abbiamo già chiuso feat con dei ragazzi inglesi (365 e VITO). Siamo molto aperti alle collaborazioni internazionali; la nostra musica è compatibile anche con voci estere, molto compatibile. Però a differenza di altri rapper del momento stiamo seguendo una wave personale. Per quanto sembri simile alle altre, noi la riteniamo diversa. Siamo sempre rimasti trap, abbiamo qualche diramazione drill, ovvero ci siamo fatti un po’ influenzare dalla drill, però il nostro suono rimane sempre trap. Nonostante tutte le ondate che ci sono adesso, rimaniamo noi stessi. Il nostro marchio di fabbrica si riconosce all’interno delle nostre pubblicazioni».

Quale sarebbe questo marchio di fabbrica ma soprattutto cosa vuol dire questo essere gang, una parola che abbiamo notato comparire spesso nei testi delle vostre canzoni?

«Essere gang non è solamente un rapporto d’amicizia. Siamo legati da tante altre cose. Noi prima della musica già eravamo già soci, eravamo già insieme. Ben prima della musica. Boh, come dire, è proprio un viaggio che stiamo facendo insieme, che abbiamo sempre fatto insieme, fin da piccoli, prima della musica prima di tutto.  Non siamo partiti dallo stereotipo del faccio musica … devo avere una gang. Siamo cominciati come gang e moriremo da gang, sia dentro che fuori dalla musica».

Questo vale per tutti e tre?

«Assolutamente. Adesso abbiamo anche formato un team. Abbiamo qualcuno che ci aiuta a livello manageriale, abbiamo un videomaker di riferimento, un producer ed uno studio dove andare regolarmente ad esercitarci per chiudere i pezzi. Infine abbiamo uno studio più professionale dove c’è un esterno che ci registra e ci chiude i pezzi, mixati e finiti».

Siete tutti e tre di Piacenza?

«Si viviamo a Piacenza. Il terzo ragazzo ha in realtà origini senegalesi. Siamo i BWA, Black White Alien, perché vogliamo rappresentare questa unione di diversi colori.  Io sono italiano, FROSTIE è mezzo nigeriano e mezzo italiano e l’altro ragazzo, invece, è totalmente senegalese. Black White Alien».

Ascoltando i vostri brani emerge prepotente questo aspetto della “gang”. Ci sono poi alcuni temi ricorrenti, che appartengono in generale al rap. Nel vostro brano Drip Lacoste, ad esempio, compaiono il concetto di paura, quello della violenza, della morte, della droga; si parla appunto del drip (il modo di vestire con capi costosi e gioielli dei giovani ndr) che è anche un segnale di appartenenza. Perché?   

«Perché rappresentano quello che viviamo».

Nella vita, oltre a far parte del gruppo, oltre a fare musica, cosa fate? Lavorate?

«Al momento nessuno di noi due sta lavorando, però abbiamo lavorato. Cerchiamo dei modi per riuscire a far musica ed a portare avanti i nostri progetti.  Ovviamente fare musica richiede del tempo e purtroppo anche soldi, tanti, tanti soldi. Quindi i soldi, in qualche modo, c’è da tirarli fuori».

Volete fare della musica il vostro unico obiettivo e la vostra attività principale?

«E’ l’unica cosa che secondo noi può salvarci dallo stare qua, in mezzo a queste strade. Abbiamo provato a lavorare. Abbiamo fatto diversi lavori. Un botto. Abbiamo lavorato in fabbrica, al McDonald’s, in carrozzeria. Qualsiasi cosa l’abbiamo fatta: pizzaiolo, postino. Ogni cosa ci ha portato a pensare che la nostra unica skills è fare musica. L’unica cosa che può salvarci da una vita che non vogliamo fare …. è sicuramente stare in musica. Il problema non è andare a lavorare in fabbrica. Il mio pensiero non cambia né a lavorare in fabbrica né a fare il dottore. Non è non è questione di difficoltà o di fatica che fai nel tuo impiego ma di che vita vuoi fare. Ci vediamo solo nel fare musica».

Cosa vuol dire che solo la musica può salvarvi?

«Per noi è un po’ così e non solo per noi. Questa città non ci dà tante opportunità di esprimerci, di esprimere al meglio le qualità che ciascuna persona ha. Non è poi nemmeno questione solo di questa città nello specifico. E questione del mondo che c’è oggi. La città però non aiuta.  Non c’è da pensare che solamente Piacenza sia così. Assolutamente no. Però è una cosa che noi abbiamo vissuto sulla nostra pelle in questa città, perché è la città che in cui siamo nati, in cui abbiamo vissuto le nostre esperienze più significative. Nessuno parla di questa città. Nel rap game questa citta non esiste. Molti di Milano non sanno neanche che Piacenza esiste ed è a 30 minuti da Milano».

Cosa vuol dire esattamente vivere la strada, vivere in strada?

«Passare del tempo in giro, in un quartiere, in una città, in una periferia, in una metropoli. Se passi del tempo in strada sicuramente ti accorgi che non è tutto rose e fiori, assolutamente, anzi il contrario. Anche se vediamo tutte queste persone che sono felici, che si beccano così in giro, ognuno con il sorriso, gli occhiali da sole, vestiti bene. Sappiamo benissimo che, in realtà, per molti di noi che sono su queste strade tutti i santi giorni non c’è il sole. Che poi lo stare in strada non è solo effettivamente … stare in strada a non far niente. La strada è tutto un mondo suo; ci sono certe regole in strada. Ci sono regole. Non sono scritte ma ci sono».

Cose che vanno rispettate …

«Cose che vanno rispettate, cose che vanno fatte, cose che fai e che poi ti possono portare conseguenze. Per riuscire a stare in strada devi essere “un imprenditore”, un imprenditore senza aver studiato. Impari a vendere qualsiasi cosa. Impari ad investire. La strada ti insegna tante cose. Ti insegna e ti toglie tante cose. Devi solamente essere tu intelligente. Devi avere la testa per capire cosa va fatto e cosa non va fatto, nel bene o nel male, legale o illegale».

Sentendovi raccontare le vostre esperienze vien spontaneo chiedersi quale ruolo abbiano giocato, in tutto questo, la scuola e la famiglia.

«Io – risponde Riccardo Marchetta – vengo da una buona famiglia ma, fin da piccolo, ho sempre frequentato amici e persone che stavano in strada. Questo mi ha portato a crescere in strada. Sono andato a scuola, ho finito due anni fa».  

Quindi sei diplomato. Che scuola hai fatto?

«Si sono diplomato. Ho fatto ragioneria. Anche il diploma non è stata una carta di valore per me. Non mi ha portato praticamente nulla. Si, posso lavorare, forse sono la prima scelta delle agenzie di lavoro. Cercano prima me rispetto a qualcuno che magari non ce l’ha. Però non mi porta a dire ok ho il diploma, ora posso trovarmi il lavoro che voglio. Quello che voglio intraprendere non c’entra niente con il lavoro che potrei trovarmi grazie al diploma. Intendiamoci è importante studiare e questo al di fuori del pezzo di carta. Credo che studiare ti apra la mente, ti insegna tante cose».

«Però – aggiunge FROSTIE – apprendere non significa solamente stare davanti a un libro a leggere cosa è successo cento anni fa. Non è solo quello studiare e sono anch’io diplomato. Sono andato al Colombini.  Il mondo, la realtà in cui vivi, però lo impari solamente con l’esperienza non con i libri».

«Come aveva cantato Marracash in XDVRMX “Se servisse la scuola, piuttosto che droga, avrei venduto enciclopedie (Ahah)”. La scuola è importante anche perché ti insegna a stare in un certo ambiente. Ci sta ad essere un attimino … diciamo colto. Anche nella musica aiuta un sacco per scrivere i testi. Il più grande insegnamento della scuola non è essere colti o sapere la Divina Commedia ma imparare a stare in un ambiente comunque ostile. Ostile perché la scuola porta ansia, stress».

Forse anche perché la scuola in Italia non è esattamente come dovrebbe essere ai giorni nostri. Una scuola fatta più di esperienza e meno di nozionismo sarebbe diversa.

«La scuola è così da duemila anni è difficile cambiare, rifarla dalle fondamenta, ripartire da zero, soprattutto per quanto riguarda le scuole superiori perché poi uno va all’università e sceglie l’indirizzo che vuole. Alle superiori si ha comunque un programma da seguire. Dovrebbe essere uno dei periodi più belli della vita di un ragazzo perché gli anni nelle superiori sono gli anni in cui cresci. Però la scuola ti insegna a diventare quello che il mondo vuole che diventi, ovvero una persona come tutte le altre, magari che eccelle in un mestiere, sì, ma come tutte le altre. Ti insegna a stare nel sistema, a stare al tuo posto.

Cosa che voi non volete fare?

Esattamente. Che nessuno di noi giovani penso voglia fare, perché abbiamo tutti ambizioni più grandi. Siamo stati sempre abituati a vedere cose più grandi sia dalla tv fin da piccolini. Cartoni, qualsiasi cosa, ti ispira e ti spinge a pensare di voler andare oltre il sistema».

Non avete pensato voi nel vostro percorso di fare l’università?

«Ci ho pensato – risponde Marchetta – ci ho pensato, ma non credo di essere in grado di sostenerla anche perché mi richiederebbe troppo tempo. Non voglio, come ho già detto, fare un lavoro normale nella mia vita».

«Nel mio caso – interviene FROSTIE –  lo vedo un po’ come un perdere tempo, ma non perdere tempo facendo qualcosa di sbagliato, però perdere tempo per gli obiettivi che ho in testa. Sono giovane e per i miei obiettivi ho bisogno di guadagnare, di investire su quello che voglio ottenere. Frequentando l’università non riuscirei a fare quello che serve, anche perché per fare musica occorrono molte energie. Non solo psicologiche, come abbiamo già detto, ma anche economiche. Bisogna vivere, muoversi».

Non rischiate però di perdere tempo nell’inseguire un sogno, la musica, senza avere garanzia di successo?

«Non penso sia un sogno – ribatte FROSTIE – per me sono solo obiettivi».

«Se hai troppi piani per la testa, finisce che non riesci a raggiungerne nemmeno uno o magari li raggiungi tutti ma a livello mediocre. Noi vogliamo raggiungere un obiettivo e vogliamo raggiungerlo al 100%.  Qualsiasi calciatore che ce l’ha fatta o rapper famoso che ce l’ha fatta penso posso dire la stessa cosa. Se prendiamo esempi, persone che adesso sono molto significative per questo mondo, le maggior parte delle persone diventate  ricche o che sono riuscite a raggiungere i propri sogni, i propri obiettivi … difficilmente sono riusciti a finire la scuola o sono andati all’università. Questo è un dato di fatto».

La musica che avete prodotto fino ad ora cosa vi ha portato in termini di successo, di ascolti, di visualizzazioni?

«A Piacenza sanno chi siamo. Tutti sanno chi siamo».

Però occorre uscire da Piacenza …

«Non ci interessa essere i capi di niente. Quanto a Piacenza questa è una città morta. Quindi restando in questa città è impossibile riuscire. Ora stiamo provando a espanderci anche fuori da qui, soprattutto, come dicevamo con i feat a livello internazionale che abbiamo già raggiunto. Pur non essendo famosi  comunque c’è gente che non sa cosa stiamo dicendo (per via della lingua) ed è interessata a noi anche fuori dall’Italia. Vuol dire che c’è del potenziale veramente ampio. Vogliamo cambiare le cose. Vogliamo portare l’alienation.

Che sarebbe?

«L’alienazione»

«Il significato letterale ci era chiaro. Ma cosa significa concretamente, visto che in un paio di brani compare questo discorso dell’alienazione (nel loro logo un Ufo sovrasta i tre musicisti ndr)?  

«Perché siamo degli alieni. Siamo strani, non si può spiegare. Se tutte le cose, Inshallah, che dio voglia, andranno come devono andare lo vedrete con i vostri occhi cosa significa alienation. Siamo diversi da qualsiasi altra cosa e ci spiace anche doverlo anche spiegare a parole. Vorremmo dimostrarlo coi fatti ma ci vorrà tempo per dimostrarlo».

Il Covid come ha influito sul vostro percorso?

«Una bella botta. E’ stata una bella botta dal punto di vista emotivo. Abbiamo raggiunto anche delle visualizzazioni importanti attraverso la piattaforma di Spotify però sicuramente ci ha bloccato. Prima della pandemia avevamo programmato un tour per esibirci live in vari posti in Italia. Purtroppo è saltato tutto. Come ogni persona una volta finita l’emergenza abbiamo dovuto incominciare da capo. Per fortuna noi eravamo già grandi, avevamo già vissuto le nostre esperienze. Ci dispiace per la maggior parte dei ragazzi della nuova generazione che si sono ritrovati nel passaggio fra medie e superiori dovendo restare quasi due anni in casa. Sono anni molto importanti ed è brutto perderli restando davanti ad uno schermo».

Più si chiacchiera con voi e più cresce l’impressione che vi siate costruiti, fra virgolette, un’immagine più dura, più cattiva di quanto in realtà non siate.

«Chi ci conosce sa che quello che diciamo e quello che vogliamo rappresentare l’abbiamo fatto e vissuto.  Però comunque siamo gentleman, siamo educati. L’educazione non ci manca. Per fortuna e grazie a Dio l’abbiamo avuta».

Visto che raccontate di aver vissuto in strada e di conoscere bene la strada in tutti i suoi aspetti avete visto che anche recentemente vi sono stati una serie di fatti di cronaca preoccupanti: risse, accoltellamenti, un tentativo di stupro in centro.  Come vedete questa città? Cosa sta succedendo?

«E’ sempre stato così. Forse è un momento in cui certi fatti vengono messi più in mostra. Ci sono stati fatti e periodi peggiori. C’è stato il periodo delle risse fra giovani che ben ci ricordiamo perchè riguardava la nostra generazione.  E’ difficile sorprenderci. Abbiamo visto tante cose nella nostra vita che la gente magari nemmeno sa e che preferiamo anche non dire. E’ brutto da dire ma sono cose che succedono. Sicuramente non devono essere ignorate e vanno denunciate. Alla fine cosa puoi fare della stupidità di una persona? Non è colpa tua se una persona è stupida».

Questo discorso che facevate prima della presa di coscienza rispetto a determinati fenomeni, come per esempio la droga o il dire no alla violenza, trasparirà ancora più esplicitamente nei testi delle vostre canzoni future?

«Noi parleremo sempre di queste cose con leggerezza perché sono comunque cose che fanno parte del nostro quotidiano. Però cercheremo sempre di più di far capire un messaggio: le viviamo, le abbiamo viste ma non vogliamo riviverle. Noi cerchiamo solamente di spiegare cos’è stato, chi. Non possiamo negare la realtà. Non lo diciamo per fare fighi, per sfoggiarlo. Assolutamente no, anche se può sembrare. Noi lo diciamo perché è quello che abbiamo vissuto. Noi siamo contro la droga, siamo contro le armi, siamo contro tutto. Però a volte nella vita si è costretti ad usarle queste cose, anche la violenza, quando è estremamente necessario. Però sì, assolutamente, cercheremo sempre di più di far passare il messaggio che comunque alcune cose non vanno fatte. Anche se le ascolti, non significa che tu debba farle. Ognuno deve sapersi gestire mentalmente. Quando è nato il rap, la trap, negli anni quando è uscito Sfera, intorno al 2015, era una cosa più presente nel genere musicale di allora far capire il messaggio che ciò che i rapper raccontavano era ciò che vivevano ma era una cosa che non condividevano. Adesso invece sembra quasi che la condividano, sembra una promozione. E’ sbagliato. Sotto questo aspetto la musica in Italia è molto degenerata. Finchè si parlava di fumarsi due canne o di vestirsi bene con un certo drip poteva al limita anche andare bene. Però adesso ti inducono quasi ad usare la violenza».  

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Carlandrea Triscornia
Giornalista professionista si è laureato in giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha inoltre ottenuto il Diploma in Legal Studies presso la Cardiff Law School - Università del Galles (UK). Ha iniziato la sua carriera come collaboratore del quotidiano di Piacenza Libertà. Dopo un corso di giornalismo radiotelevisivo ha svolto uno stage presso l’emittente Telereggio divenendone prima collaboratore e poi redattore. Successivamente ha accettato l’incarico di direttore generale e direttore editoriale di Telecittà emittente regionale ligure, dove ha lavorato per tre anni. E’stato quindi chiamato dalla genovese Videopiù ad assumere il ruolo di responsabile delle sedi regionali di SkyTG24 affidate in outsourcing alla stessa società. Trascorsi cinque anni è rientrato nella nativa Piacenza avviando una attività imprenditoriale che lo vede tuttora impegnato. Ha fondato PiacenzaOnline, quotidiano di Piacenza di cui è direttore responsabile. Ha collaborato con l’Espresso e con Avvenire oltre che con Telemontecarlo - TMC News come corrispondente dall’Emilia ed ha lavorato come redattore presso Dodici-Teleducato Parma. Appassionato di Internet e di nuove tecnologie parla correntemente inglese. Sposato, ha due figli.

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