Il liceo breve era proprio necessario?

E’ di oggi la notizia che il ministro dell’istruzione Valeria Fedeli ha dato il via libera alla sperimentazione in 100 scuole italiane del liceo breve ossia in quattro anni anziché in cinque.

Le scuole interessate potranno candidarsi questo autunno e con l’anno scolastico successivo partirà l’esperimento.

La scuola superiore dura quattro anni in Inghilterra ed in Irlanda ad esempio ed in questi paesi anche l’università è generalmente più breve. Quindi un ragazzo inglese riesce ad entrare nel mondo del lavoro internazionale almeno un paio d’anni prima di un suo coetaneo italiano. E’ anche vero che in altri paesi (ad esempio in Scandinavia) ci si diploma a 19 anni come da noi.

Molti ritengono che quello della durata fosse l’ultimo dei problemi per una scuola che ha infrastrutture vecchie, pochi laboratori, programmi “antichi”. Una scuola che favorisce spesso il nozionismo e non valorizza lo sport, considerandolo non parte integrante nella crescita dei giovani ma un fastidioso di più. Basti dire, per calarci sul territorio, che il liceo più grande di Piacenza, il Gioia, in pratica non ha – ad oggi – una vera palestra e gli insegnanti sono costretti ad arrabattarsi alla meglio fra palestre condivise e campo Daturi.

Sull’argomento liceo breve si è espressa con una nota anche l’Unione Sindacale di Base. Qui sotto potete leggere il testo del comunicato che fornisce alcune interessanti chiavi di lettura.

L’obiettivo di ridurre il percorso scolastico di un anno in questo paese non è una novità. Negli anni si è parlato di accorpare scuola primaria e medie inferiori, di accorpare medie inferiori e superiori e da alcuni anni si insiste sul taglio di un intero anno di scuola, negli istituti superiori. Il mantra è sempre lo stesso: metterci al passo con l’Europa, dove i giovani finiscono la scuola un anno prima rispetto agli studenti italiani. In realtà il sistema europeo è tutt’altro che omogeneo, vi sono paesi in cui la scuola termina a 18 anni, che però hanno un sistema in cui la scuola “media” si prolunga fino a 15/16 anni (sul modello anglosassone), ma vi sono paesi, tra cui quelli del Nord, in cui il percorso termina a 19 anni. In altri paesi dipende poi dal tipo di scuola scelto (in Germania, ad esempio).

Allora, se il quadro europeo è così variegato, perché insistere tanto sull’abbassamento dell’età in cui si consegue il diploma di scuola superiore? Per di più di fronte a un tasso di disoccupazione giovanile che davvero non sembra incoraggiare un ingresso anticipato nel mondo del lavoro?

A noi sembra evidente che lo scopo è sempre lo stesso e accomuna tante cosiddette novità, dall’alternanza scuola lavoro, al proliferare di progetti e “collaborazioni” coi privati e il mercato, alla didattica per competenze: ridurre il tempo-scuola e abbassare il livello di istruzione complessivo della popolazione scolastica. Produrre cittadini sufficientemente istruiti e specializzati, ma non educati a pensare. Ridurre i saperi e aumentare le “competenze”, creare manodopera a diverso livello di specializzazione, disponibile a lavorare alle condizioni dettate dal mercato, manodopera non in grado di produrre pensiero critico sull’esistente, cittadini inermi di fronte ad ogni cambiamento peggiorativo delle loro condizioni di vita e lavoro. Ogni provvedimento degli ultimi 20 anni, dalla riforma Gelmini alla L. 107, alle leggi delega di quest’anno, va in questa direzione.

È necessario anche sottolineare che ridurre di un anno il tempo della scuola porterà ad accentuare ancora di più grave; il gap tra gli studenti che provengono da famiglie abbienti, in grado di garantire ai figli esperienze, cultura, conoscenze e gli studenti che queste possibilità non hanno, indebolendo ulteriormente il ruolo di ascensore sociale che la scuola pubblica e statale ha avuto per molti anni.

Inoltre da lavoratori della scuola, non possiamo non chiederci che effetti un provvedimento del genere possa avere sull’organico docente. Quanti posti di lavoro potrebbero perdersi?

Infine, troviamo davvero inquietante l’idea di aumentare il monte ore annuale da 900 a 1.050, dopo che per anni tutti i ministri succedutisi al dicastero dell’istruzione hanno lavorato al taglio delle ore di scuola giornaliere con la scusa dell’eccessiva fatica che quel numero di ore avrebbe comportato per gli studenti. Improvvisamente il problema non esiste più? Sorvoliamo sulla pretesa di concentrare l’ASL nei periodi di vacanza, ovvero sull’ulteriore aggravio di lavoro per studenti e docenti.

Alla luce di tutto questo invitiamo i collegi docenti a bocciare tali sperimentazioni, prive di valore pedagogico, ma utili al progetto di smantellamento del sistema scolastico pubblico e statale in favore della scuola azienda funzionale al mercato.

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