Inaugurata la stele in memoria di tutte le vittime dei totalitarismi

Donata dal Circolo Einaudi è posizionata nel giardino di via Santa Franca a Piacenza, intitolato al Giorno della libertà, che ricorda il crollo del Muro di Berlino

«Il Giorno della libertà deve essere la nostra presa di coscienza di cos’è la nostra libertà individuale soprattutto in un momento nel quale è stata compressa. Oggi non celebriamo solo il passato ma anche il presente. E il presente ci dice che ci sono due modi d’intenderla, la libertà: chi la ritiene come valore non negoziabile e chi pensa sia bella solo se concessa dall’alto. Il totalitarismo è ancora fra di noi e dobbiamo combatterlo». Con queste parole Dario Fertilio, già giornalista del Corriere della Sera e attualmente docente di Comunicazione alla Università Statale di Milano, ha concluso la cerimonia di inaugurazione della stele («prima in Italia», ha sottolineato l’oratore) in ricordo delle vittime di tutti i totalitarismi, anche quelli di matrice comunista, donata alla città dal Circolo culturale “Luigi Einaudi” (che ha sopportato ogni necessaria spesa). Il monumento è posizionato  nell’area verde di via Santa Franca a Piacenza che è stata intitolata – sempre oggi 9 novembre e su proposta del Circolo Einaudi – al “Giorno della libertà”, istituito – come ricordato da tutti i relatori – con la legge n. 61 del 15 aprile 2005 quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino.

La cerimonia – alla quale hanno presenziato autorità civili e militari, amministratori di città e provincia, semplici cittadini, una nutrita rappresentanza del Circolo Einaudi e gli studenti della scuola Giovanni Paolo II – è stata condotta da Robert Gionelli e aperta dal sindaco Patrizia Barbieri che ha detto: «Occorre togliere tutti i veli, politici e storici, per dare ai giovani gli strumenti per difendere la libertà da ogni muro (vedi sotto disorso integrale)».

Anche il prefetto Daniela Lupo si è rivolta ai ragazzi presenti invitandoli a «non costruire muri ma ponti». Dopo la benedizione del parroco di Sant’Antonino don Giuseppe Basini, il prefetto, il sindaco e il coordinatore del Circolo Einaudi Danilo Anelli (che in un successivo intervento ha sottolineato come l’Associazione da anni celebri il 9 novembre per difendere i valori della libertà) hanno scoperto la stele, il cui progetto di costruzione ha visto Carlo Ponzini nel ruolo di direttore e coordinatore artistico.

«Vuole essere un monumento di tutti – ha osservato l’arch. Ponzini – costruito in acciaio sabbiato, un materiale forte, e sviluppato in altezza, perché alta deve essere la speranza nella libertà. Questo è il valore che vogliamo trasmettere con il Circolo Einaudi».

Nel corso della manifestazione è stato ricordato il piacentino Pietro Amani – mancato nel 2020, a 98 anni -, l’ultimo sopravvissuto ai Gulag sovietici del quale la Banca di Piacenza aveva pubblicato il Diario di prigionia, dedicandogli nel 2018 una partecipata giornata a Palazzo Galli, alla quale lo stesso Amani era presente.

Giorno della libertà: le motivazioni del Corcolo Einaudi

Il 9 novembre del 1989 finiva il regime tedesco orientale e crollava il “muro”, quella barriera che per quasi trent’anni era stata causa di divisione per i cittadini tedeschi ed emblema di guerra. La Repubblica Italiana ha simbolicamente dichiarato per ogni anno quella data Giorno della libertà (legge n° 61 del 15 aprile 2005), disponendo l’organizzazione di cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole, allo scopo di illustrare il valore della democrazia e della libertà evidenziando gli effetti nefasti dei totalitarismi.

La storia

Il muro di Berlino fu costruito il 13 agosto del 1961 dal governo della Germania est, affinché i cittadini non potessero più viaggiare liberamente nei territori della Germania ovest, dove la vita era più ricca di opportunità. Durante gli anni della guerra fredda, infatti, la Germania si trovata divisa. A ovest vi era la repubblica federale tedesca, formata da Francia, Gran Bretagna e stati uniti. A est, invece, la Repubblica Democratica Tedesca in mano all’Unione Sovietica. Questo portò anche a una ripartizione della città di Berlino, il cui blocco orientale si trovava in condizioni economiche difficili e con restrizioni rigidissime alle libertà individuali.

Il muro divenne il simbolo principale della cortina di ferro, quella linea immaginaria che divideva in due l’Europa e che di fatto stava a rappresentare i conflitti della guerra fredda. Nel corso degli anni furono moltissime le persone della Berlino Est che tentarono la fuga verso la parte occidentale, anche a costo di perdere la vita. Infatti, le guardie armate che sorvegliavano il muro avevano l’ordine di sparare a vista chiunque tentasse di fuggire.

L’abbattimento del muro

Nell’agosto 1989 l’Ungheria eliminò le restrizioni alla frontiera con l’Austria, creando così la prima “breccia” nella cortina di ferro. Dalla metà di settembre dello stesso anno, migliaia di tedeschi orientali tentarono quindi di raggiungere l’ovest attraverso l’Ungheria, ma vennero respinti. Di lì in poi fu un crescendo di dimostrazioni e proteste che costrinse il governo della Germania est, nella persona di Egon Krenz, ad allentare i controlli di frontiera.

Tali disposizioni sarebbero dovute entrare in vigore a partire dal 10 novembre 1989, ma ci fu un clamoroso malinteso: alla conferenza stampa internazionale del 9 novembre 1989, il portavoce del governo di Berlino est, Gunter Schabowski, evidentemente malinformato, annunciò in diretta che a tutti i berlinesi sarebbe stato permesso di attraversare il confine “immediatamente”.

Fu allora che la popolazione si riversò contro il muro. Fu una massa impossibile da arginare. Le frontiere furono così aperte e la città si ritrovò finalmente unita. Nell’arco delle settimane successive, migliaia di berlinesi demolirono quel muro che li aveva tenuti in ostaggio per quasi trent’anni, abbattendo di fatto l’ultimo simbolo della guerra fredda e anticipando di un anno la riunificazione della Germania (suggellata il 3 ottobre 1990).

L’abbattimento del muro assunse una portata mondiale, creando grandi impatti emotivi e sociali in tutta Europa e non solo.

Oggi non è rimasto molto del muro. In alcuni punti di Berlino è possibile osservarne delle parti, che sono diventate note per i loro graffiti, come nella famosa East Side Gallery.

Come detto il parlamento italiano, con una legge del 2005, ha definito il 9 novembre come “Giorno della libertà”, in memoria della caduta del Muro di Berlino.

Il discorso del sindaco Patrizia Barbieri

 

“Il giorno della caduta del Muro fu il giorno della felicità, ma anche il giorno della vergogna. Ma i giovani cancelleranno le ferite del Muro”. E’ nella parole pronunciate a 15 anni di distanza dagli storici eventi del 9 novembre 1989, dall’ex cancelliere tedesco e storico Helmut Kohl, che rinnoviamo il significato di questo giorno che, con legge 61 del 2005 la Repubblica italiana ha consacrato a Giorno della Libertà. E’ nella celebrazione di quel festoso impeto di libertà con cui la folla berlinese fece breccia nei 155 chilometri di cemento e filo spinato – di cui 43 nel cuore di Berlino – che per quasi trent’anni furono causa di sofferenza e divisione per i cittadini tedeschi e drammatica rappresentazione del lacerante strappo tra la libertà e la sua negazione.

Nel crollo di quello che era stato, agli occhi del mondo, emblema di oppressione e sopraffazione, si affidava alle giovani generazioni la speranza che, conoscendo gli errori del passato, si potesse costruire un futuro di libertà e democrazia.

In quelle ore frenetiche e convulse, mentre si sgretolava il simbolo più evidente della Guerra Fredda, la comunità internazionale guardava, con ritrovata fiducia, a un messaggio di pace: non solo veniva finalmente restituita giustizia a una Nazione profondamente ferita da quella lunga e dolorosa separazione, ma poteva cominciare a ricomporsi la frattura, a lungo parsa insanabile nella minaccia di un conflitto incombente, tra i Paesi occidentali e il regime comunista sotto l’egida dell’Urss.

Due milioni e mezzo di persone, tra il 1949 e il 1960, avevano deciso di abbandonare la propria casa e la propria terra, nella natia Germania dell’Est assoggettata alla dittatura sovietica, scegliendo l’opportunità di una vita diversa, di cui poter decidere per sé e per la propria famiglia. La costruzione del Muro fu la risposta senza appello a quell’istinto – così autenticamente umano – di autonomia e di indipendenza, di libero arbitrio e orizzonti aperti: l’estremo tentativo di riprendere il controllo su una società in fermento e su ogni singolo individuo.

Nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1961 cominciò, tra torrette di controllo e guardie armate, l’edificazione di quella linea di confine che segnava non solo la demarcazione tra Est e Ovest, tra il totalitarismo sovietico e le democrazie occidentali, ma innanzitutto la lontananza tra le persone, improvvisamente separate dai loro genitori, fratelli, partner e amici. Così scriveva all’amato Christoph dall’altra parte del Muro, tra disperazione e forza d’animo, la giovane Dorotea: “Mio caro Christoph, ritorno ora dall’ufficio competente e sono molto avvilita. Mi è stato spiegato che si rilasciano autorizzazioni esclusivamente a parenti di 1° grado. Anche a Natale, nessun lasciapassare, e tanto meno per i fidanzati. Ciò che abbiamo da discutere, possiamo comunicarcelo tranquillamente per iscritto. Ecco quanto mi ha detto la signora con cui ho appena parlato… Non essere triste, io tengo duro e sono convinta che il nostro amore sarà più forte di ciò che attualmente ci separa”.

Mentre le fortificazioni militari crescevano e i muri raddoppiavano, correndo paralleli tra di loro e lasciando nel mezzo quella che divenne famosa come la “striscia della morte”, cresceva l’anelito di libertà dei cittadini. Migliaia di persone, tra il 1961 e il 1989, tentarono di scavalcare il Muro: oltre 3000 vennero detenute per averci provato e secondo i registri dell’epoca centinaia furono le vittime, uccise perché colpevoli di aver tentato la fuga.

Così racconta, nel suo diario, la sedicenne Miriam, che nella notte di San Silvestro del 1968 cercò, invano, di passare dall’altra parte: ”Ho ancora le cicatrici che mi sono procurata tentando di scavalcare il Muro. Ricordo il filo spinato che si srotolava come un tubo, i pantaloni completamente strappati, io bloccata, senza potermi muovere. Un Arlecchino su un palcoscenico all’aperto. Arrivarono le guardie della Ddr – scrive ancora – e mi tirarono subito via. Mi portarono nel carcere della Dimitroff-Strasse, in una cella che misurava due metri per tre, con una piccolissima finestra molto in alto, un vetro opaco, una panchina con un materasso, un water, un lavandino. L’interrogatorio durò 10 notti, ogni notte per 6 ore, dalle dieci di sera alle quattro del mattino. Dieci giorni sono un tempo lunghissimo. Il tempo sufficiente per morire, nascere, innamorarsi, impazzire”.

Rileggendo queste parole, avvertiamo più forte che mai la responsabilità e il dovere civico, morale e politico di difendere la libertà dei cittadini come bene supremo, tutelato dalla nostra Costituzione come principio cardine della democrazia, senza mai dimenticare che la storia ci insegna quanto sia costata, per chi ha combattuto e lottato per essi, la conquista dei nostri diritti.

Ciò significa adoperarci ogni giorno, per trasmettere ai giovani la consapevolezza, il valore della conoscenza, il coraggio di cercare la verità al di là di ogni muro. E’ ciò che stiamo facendo oggi, mentre togliamo il velo alla targa con cui abbiamo voluto intitolare quest’area a “Giardino della Libertà”, quale omaggio alle donne e agli uomini che hanno pagato il prezzo più alto per il rifiuto di rassegnarsi al controllo ossessivo e alla violenza del totalitarismo, e consegniamo ufficialmente alla città la stele commemorativa che il Circolo “Luigi Einaudi” ha voluto donare come tributo a quelle vittime e come imperitura memoria di conoscenza dei valori della libertà e rifiuto e condanna di tutti i totalitarismi.

Oggi, con questi gesti, simbolicamente ci impegniamo a togliere tutti i veli – ideologici, politici, culturali – che ancora impediscono di rileggere con onestà ed equidistanza i fatti della storia. E’ solo consegnando ai nostri giovani il patrimonio di consapevolezza che deriva dalla conoscenza e dalla verità, di cui non dobbiamo mai avere timore, che possiamo dare loro gli strumenti per riaffermare il valore della libertà di fronte ad ogni muro che ancora la voglia negare, e onorare degnamente il ricordo di tutti coloro che hanno subito la violenza fisica e psicologica, le costrizioni e l’annichilimento dei regimi totalitari.

Nel nome di Ida, che il 21 agosto 1961, alla vigilia del 59° compleanno, morì per le ferite riportate gettandosi dalla finestra del suo appartamento al terzo piano, affacciato sul Muro costruito solo nove giorni prima, nel tentativo disperato di un salto che le permettesse di varcare il confine. Nel nome di Chris, che di anni ne aveva solo 20 quando il 5 febbraio 1989, fucilato dalle guardie che pattugliavano la barriera, cadde come ultima vittima all’ombra del Muro. Nel nome della libertà che cercavano e cui oggi rendiamo il nostro tributo in questo giardino”.

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