La Gazzetta di Parma “perdona” Levoni per lo scippo verdiano

Il quotidiano si occupa dei manifesti elettorali di Antonio Levoni che si è inventato un “endorsement” virtuale da parte del Maestro

I cartelloni elettorali di Antonio Levoni, come era prevedibile, approdano sulla Gazzetta di Parma, uno dei giornali più antichi d’Italia, per la precisione “Quotidiano d’informazione fondato nel 1728”.

Chi però si aspettava un articolo livoroso e campanilista in difesa di Verdi parmigiano, una vibrante denuncia contro lo “scippatore” piacentino è rimasto deluso.

In un pezzo gradevolmente scritto da Vittorio Testa, si racconta di questo manifesto elettorale in cui Antonio Levoni, esponente dei liberali piacentini, riceve un “endorsement” immaginario da niente popò di meno che Giuseppe Verdi. Il “piacentino” Verdi attesta la piacentinità vera del consigliere uscente, candidato entrante.

Un appoggio completamente virtuale, visto che il Maestro è ahinoi mancato 121 anni fa e da quel lontano 1901 purtroppo non frequenta più né la nostra città né l’amato hotel San Marco ove era solito soggiornare.  Del resto in un mondo in cui gli NFT valgono ormai più dei quadri che rappresentano, è sempre più difficile distinguere ciò che è fake da ciò che è reale. C’è chi usa un feticcio di Einstein per scorrazzare un carrello per le corsie di un noto supermercato e chi ora scomoda il padre dell’Aida come sponsor: alla fine è tutta e solo reclame. Ad alcuni piace ad altri meno.

Fra questi ultimi, come racconta l’articolo della Gazzetta, c’è Angiolo Carrara Verdi (discendente diretto del compositore) che definisce la trovata pubblicitaria di Levoni «Disdicevole e da condannare come indebita speculazione per lucrare un pugno di voti. Verdi è di tutti!».

Assai più divertito è invece un altro piacentino dai nobili ed antichi natali, l’avvocato Corrado Sforza Fogliani, leader storico dei liberali, che secondo alcuni potrebbe, in questo dissacrante manifesto elettorale aver giocato il ruolo di “copywriter”. Rispondendo alla Gazzetta l’avvocato però non si attribuisce i meriti della riuscita provocazione (che sta già sortendo i suoi effetti propagandistici).

«Sì, sono il sospettato mandante di ogni cosa faccia la Destra piacentina – risponde Sforza a Vittorio Testa. – Levoni è una persona stimabile e corretta, non ha bisogno di suggerimenti miei. Ha fatto questo manifesto che non trovo affatto offensivo. Anzi: ritengo sia un modo simpatico anche se un po’ provocatorio, di rivendicare la piacentinità certa delle origini dei Verdi, fin dal sedicesimo secolo abitanti delle terre di Sant’Agata e dintorni, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Alseno, Villanova d’Arda, dove non a caso il Compositore decise di vivere dopo essere scappato da Busseto, certo la cittadina dove lui fece i primi studi e trovò il Barezzi generoso finanziatore. Ma il Verdi che aprì la posteria alle Roncole, dove appunto nacque Giuseppe, era della schiatta piacentina e, guarda caso aveva sposato Luigia Uttini, stirpe originaria del lago Maggiore insediatasi a Saliceto, provincia di Piacenza, città frequentata dal Genio assai più che non Parma».

Come sottolinea l’articolo poco importa che Milano, Parma, Piacenza rivendichino come proprio cittadino Giuseppe Verdi perché infondo anche questo è «un trionfo giusto e doveroso per un artista che appartiene a tutta l’umanità» .

Perdonato dunque dalla Gazzetta, ora resta da vedere se il buon Levoni – con l’autoproclamato supporto del Maestro – le suonerà ai suoi avversari (politicamente, ca va sans dire).

Alla fine, a deciderlo, sarà sempre e comunque “La forza del destino”.

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