La zona rossa si avvicina e il sindaco Barbieri spiega il perché

Con ogni probabilità domani il ministro Speranza inserirà l'Emilia-Romagna in zona rossa. Una decisione che peserà anche su Piacenza, unica provincia in regione che avrebbe i numeri per restare almeno arancione

Con un intervento video su Facebook il sindaco di Piacenza Patrizia Barbieri “ha messo le mani avanti” rispetto a quanto – salvo colpi di scena – succederà domani ossia il passaggio dell’Emilia Romagna da zona arancione a zona rossa (con entrata in vigore da lunedì).

A deciderlo sarà il ministro Speranza sulla scorta dei dati che per la nostra regione sono decisamente negativi. L’unica eccezione è proprio la provincia di Piacenza che al momento è una delle poche, se non l’unica, area dove la situazione risulta stabile da almeno tre settimane.

Il sindaco ha ricordato come la variante inglese si sia diffusa in molte province emiliano romagnole, contagiando anche le giovani generazioni e saturando le terapie intensive ospedaliere. E’ infatti questo il vero problema. Mentre lo scorso anno, quando in mezzo alla tempesta c’erano Piacenza e Rimini (uniche ad essere messe in rosso), i malati piacentini gravi potevano essere trasferiti a Bologna piuttosto che a Ferrara; in questi giorni invece le terapie intensive dell’intera regione sono esaurite (o quasi) e si tenta di invertire la curva dei ricoveri istituendo di fatto un nuovo lock-down.

Da più parti però ci si chiede come mai Piacenza debba subire le conseguenze di misure più restrittive quando i numeri a livello provinciale (almeno a momento) non lo richiederebbero. Con ogni probabilità la colorazione a livello regionale non è più lo strumento giusto per gestire questa fase che non risulta omogenea fra territori diversi.

In ogni caso l’esperienza disastrosa dello scorso anno – quando Piacenza non venne messa in zona rossa nonostante avesse il virus alle porte – insegna che è molto meglio prevenire e dunque anche il rosso generalizzato potrebbe pure starci.

Però i piacentini (e non solo loro) avrebbero contemporaneamente bisogno di misure di sostegno concreto, non “parole, parole, parole parole soltanto parole” come cantava Mina. Perché due settimane con i bambini a casa da scuola sono un disastro per i genitori che lavorano. Perché due settimane con bar e negozi chiusi (senza certezza di ristori) rischiano di essere il colpo di grazia per tante attività già allo stremo. Perché 15 giorni di stop sono insostenibili per tutti i lavoratori autonomi che non hanno uno stipendio garantito su cui fare affidamento.

Se il gioco dello Stivale variopinto – anziché un lock-down nazionale – serve solo per evitare di erogare i ristori generalizzati, sarebbe più onesto dirlo. Cambierebbe poco, ma almeno si saprebbe chi ringraziare.

Probabilmente gli stessi che non sono riusciti a garantire una campagna vaccinale massiva, veloce ed efficace che avrebbe davvero cambiato i colori di questo paese!

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