“Le dighe non sono la soluzione alla siccità: sono vuote d’acqua e piene di inerti”

Lo sostengono Legambiente, NoTube, Comitato Terme Val Trebbia, Wilderness sez.Piacenza, Associazione Amici del Nure secondo cui i grandi invasi sono antieconomici e pericolosi

In un comunicato congiunto Legambiente, NoTube, Comitato Terme Val Trebbia, Wilderness sez.Piacenza, Associazione Amici del Nure si occupano del tema della siccità e delle dighe che, a giudizio degli scriventi, non sono la soluzione al problema della mancanza d’acqua.

«La siccità di quest’anno ha reso ancora più evidente quello che sosteniamo da tempo: se non piove non si riempiono neanche le dighe. Quindi le dighe, pur essendo uno strumento di accumulo di acqua, non sono la soluzione del problema siccità.

In aggiunta le dighe vuote mettono in evidenza un altro grave problema: il progressivo interramento degli invasi, soprattutto quelli appenninici, dove gli inerti accumulati sono limi e sabbia. Questo comporta due problemi derivati:

–     la riduzione della capacità di invaso, con perdita dell’efficienza dello stesso;

–     il periodico rilascio degli inerti nei fiumi in modo concentrato, con gravi conseguenze sull’ambiente fluviale.

Inoltre la pulizia degli invasi ha costi stratosferici che i gestori cercano di non accollarsi, preferendo  liberare, durante le piene, la maggiore quantità possibile di fanghi, lasciandoli defluire a valle della diga. Infatti, dal punto di vista economico, è senza dubbio più conveniente pagare una eventuale sanzione che affrontare i costi del corretto smaltimento dei detriti accumulati. Oppure, quando il gestore è pubblico, come nel caso dei Consorzi di Bonifica, le spese di pulizia sono a carico del pubblico e quindi ancora una volta dei cittadini.

Ecco perché le dighe non possono essere considerate la soluzione al problema siccità, essendo antieconomiche, pericolose e di grande impatto per la biodiversità e il paesaggio.

Serve invece:

–     aumentare l’efficienza delle reti esistenti, oggi inferiore al 50%, senza peraltro cementificare i canali, come recentemente accaduto;

–     modificare il sistema di distribuzione dell’acqua nei canali, passando ad un sistema a chiamata;

–     ridurre le colture idroesigenti, in particolare il mais da biomassa;

–     accumulare acqua in piccoli invasi, vicino agli utilizzatori con minori spese di costruzione e di gestione;

–     cercare di riutilizzare le acque di secondo uso come ad esempio quelle in uscita dagli impianti di depurazione.

Quest’anno, nonostante la grave siccità, abbiamo letto che la campagna del pomodoro e del mais è stata sostanzialmente in linea con gli altri anni, con rese superiori alla media, arrivando perfino a dichiarare a mezzo stampa, nonostante gli aumenti effettivi del costo del gasolio ed energia elettrica per i prelievi, che l’unico problema per gli agricoltori è stato “lo stress provocato dalla paura di non avere acqua”.

Questo risultato, come spesso in passato, è stato assicurato dal prelievo di tutta l’acqua disponibile per alcuni fiumi e torrenti o di quasi tutta per altri, oltre all’acqua prelevata dai pozzi. Ciò è stato possibile per le deroghe concesse al Minimo Deflusso Vitale (DMV) o al mancato controllo dello stesso da parte degli Enti preposti.

Questo prelievo di acqua dai fiumi e torrenti non ha avuto solo gravi conseguenze sull’ambiente fluviale ma soprattutto effetti sull’alimentazione delle falde acquifere. Per esempio in Val Nure, a causa della totale captazione dell’acqua superficiale e di subalveo, oltre che al forte prelievo da pozzi, è stata messa seriamente a rischio anche la disponibilità di risorsa destinata ai fabbisogni idrici. Senza considerare il problema della risalita del cuneo salino, quest’anno arrivato a ben 40 chilometri a monte della foce del Po, danneggiando l’agricoltura e l’ambiente di tutto il territorio del delta.

L’agricoltura è una risorsa fondamentale per il paese ma, alla luce degli incombenti cambiamenti climatici, diventa fondamentale cambiare registro e politiche sulle strategie di accumulo e risparmio dell’acqua, partendo dalle scelte della Regione, cui spetta la competenza del controllo delle risorse idriche, fino ad arrivare ai Consorzi di Bonifica.

Le proposte sono conosciute e in cantiere da anni, bisogna solo avere il coraggio e la volontà di applicarle».

 

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