Le innovazioni nel condominio

Secondo la giurisprudenza per innovazione è da intendersi soltanto una nuova opera che alteri l’entità materiale della cosa, per favorire e aumentare la funzionalità ed il valore dell’edificio

Sul presupposto che può essere interesse dei partecipanti al condominio migliorare o rendere più comodo l’utilizzo della struttura originaria dell’edificio, l’art. 1120 cod. civ. prevede, al primo comma, la possibilità per i condòmini di disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni, deliberando con la maggioranza di cui al quinto comma dell’art. 1136 cod. civ. vale a dire con un quorum, in prima e seconda convocazione, costituito da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno i due terzi del valore dell’edificio (sempre fermi, naturalmente, i quorum costitutivi di cui al primo e terzo comma del medesimo art. 1136 cod. civ.).

Lo stesso articolo prosegue, al secondo comma, elencando una serie di innovazioni che il legislatore ha ritenuto particolarmente meritevoli di tutela, tanto da poter essere deliberate con la maggioranza di cui all’art. 1136, secondo comma, cod. civ. Con un quorum deliberativo, cioè, più basso (in quanto costituito, in prima e seconda convocazione, da un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio) rispetto a quello ordinario di cui al primo comma.

Il terzo comma dell’art. 1120, prescrive, poi, che l’amministratore convochi l’assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condòmino interessato all’adozione delle deliberazioni aventi ad oggetto le innovazioni appena elencate.

La richiesta deve contenere l’indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. Ove così non avvenga, l’amministratore dovrà invitare senza indugio il condòmino proponente a fornire le necessarie integrazioni. L’ultimo comma della norma in parola, infine, vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino.

Tanto precisato, ciò che interessa evidenziare, in questa sede, è che per innovazione – secondo la giurisprudenza – non è da intendersi qualsiasi modificazione della cosa comune, ma soltanto una nuova opera che alteri l’entità materiale della cosa, nella forma e nella sostanza, per favorire e aumentare la funzionalità ed il valore dell’edificio in condominio (cfr., fra le altre, Cass. sent. n. 8622 del 29.8.’98.

Corrado Sforza Fogliani – Presidente Centro studi Confedilizia

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