L’inquinamento e le polveri sottili potrebbero aver favorito il diffondersi del Covid -19

E’ quanto emerge da uno studio della Società italiana di medicina ambientale Sima effettuato in collaborazione con le Università di Bari e di Bologna.

Potrebbe esserci una stretta correlazione tra l’inquinamento atmosferico, ed in particolare il Pm10, e la maggiore diffusione del Coronavirus in alcune aree del nostro paese. E’ quanto emerge da uno studio della Società italiana di medicina ambientale Sima effettuato in collaborazione con le Università di Bari e di Bologna.

Come si legge nel documento “vi sarebbe una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (es. PM10 e PM2,5). Il particolato atmosferico – secondo quanto riferisce lo studio – funziona da carrier, cioè da vettore di trasporto, pe molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze. Il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni. Il tasso di inattivazione dei virus nel particolato atmosferico dipende dalle condizioni ambientali: mentre un aumento delle temperature e di radiazione solare influisce positivamente sulla velocità di inattivazione del virus, un’umidità relativa elevata può favorire un più elevato tasso diffusione del virus cioè di virulenza”.

Si tratta di dati emersi dallo studio di precedenti contagi virali come l’aviaria: in sostanza la velocità di diffusione del contagio è correlata alla concentrazione di PM10 e PM2.5 .

Ma anche il numero di casi di morbillo su 21 città cinesi nel periodo 2013-2014 varia in relazione alle concentrazioni di PM2.5. Per questo alcuni ricercatori cinesi suggeriscono che “politiche efficaci di riduzione dell’inquinamento atmosferico possono ridurre l’incidenza del morbillo”.

Possibile relazione fra polveri sottili e Covid-19

Partendo da questi presupposti lo studio ha cercato di capire se possa esserci stata una correlazione fra inquinamento e diffusione del Covid-19. Per valutare una possibile correlazione tra i livelli di inquinamento di particolato atmosferico e la diffusione del COVID-19 in Italia, sono stati analizzati per ciascuna Provincia:

– i dati di concentrazione giornaliera di PM10 rilevati dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) di tutta Italia. Sono stati esaminati i dati pubblicati sui siti delle ARPA relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio, considerando il numero degli eventi di superamento del limite di legge (50 μg m-3) per la concentrazione giornaliera di PM10, rapportato al numero di centraline attive per Provincia (n° superamenti limite PM10 giornaliero/n° centraline Provincia).

– i dati sul numero di casi infetti da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile (COVID-19 ITALIA)

“In particolare – secondo lo studio – si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 Marzo (considerando un ritardo temporale intermedio relativo al periodo 10-29 Febbraio di 14 gg approssimativamente pari al tempo di incubazione del virus fino alla identificazione della infezione contratta)”.

L’analisi sembra indicare una relazione diretta tra il numero di casi di COVID-19 e lo stato di inquinamento da PM10 dei territori, coerentemente con quanto ormai ben descritto dalla più recente letteratura scientifica per altre infezioni virali.

“La relazione tra i casi di COVID-19 e PM10 suggerisce un’interessante riflessione sul fatto che la concentrazione dei maggiori focolai si è registrata proprio in Pianura Padana mentre minori casi di infezione si sono registrati in altre zone d’Italia.

Le analisi sembrano dimostrare che, in relazione al periodo 10-29 Febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo. A questo proposito è emblematico il caso di Roma in cui la presenza di contagi era già manifesta negli stessi giorni delle regioni padane senza però innescare un fenomeno così virulento”.

Qui il testo completo dello studio

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