Il difficile mestiere di badante, tra precariato e piccoli soprusi quotidiani

Il racconto di una signora piacentina che da dieci anni lavora con gli anziani, come assistente domiciliare, superando quotidianamente tante piccole (e volte grandi) difficoltà

Immagine di repertorio

Sono passati ormai sei anni da quando Giampaolo Pansa dalle colonne di Libero, ammoniva i giovani che desideravano intraprendere la carriera giornalistica, consigliando loro lavori più sicuri e che li avrebbero meno esposti al rischio povertà e individuando, tra questi, il mestiere del badante.

La ragione? Semplice: «Perchè la società invecchia e ci sarà sempre più bisogno che gli anziani vengano assistiti in casa» – commentava la celebre firma, aggiungendo come risposta ai giovani aspiranti  scrittori:

Lo sai che in Italia i giornalisti sono troppi e molti editori stanno sfoltendo le redazioni, anche in testate importanti? No, non lo sanno. Allora domando: perchè vuoi fare il giornalista? Risposta: perchè mi piace scrivere e al liceo avevo ottimi voti in italiano […] Se non capisci come gira il mondo, preparati a diventare di nuovo povero.   

Oggi, quella profezia sembra in parte avverata. Non tanto per una conversione di massa al realismo da parte degli aspiranti giornalisti, quanto per il perdurare di una crisi economica che limita fortemente l’offerta di lavoro qualificato e induce a guardarsi intorno.

Eppure, per chi decide di fare il mestiere di badante – come Francesca, 43enne piacentina,  le cose non sono rosee come l’autore de “Il sangue dei vinti” poteva pensare. A partire dalla paga e dalla sicurezza di una professione che rimane schiacciata tra precariato, lavoro nero e piccoli soprusi quotidiani.

«All’inizio – chi ha raccontato – prendevo circa 8 euro all’ora e venivo quasi sempre pagata con regolarità. Oggi mi accontento di prenderne 3, ma fino a pochi mesi fa ero arrivata a prenderne 1,5. 18 ore al giorno per 600 euro al mese. Ma a me servivano ed era importante riabituarmi ad uscire di casa dopo i problemi che ho avuto».

Francesca è un nome di fantasia che abbiamo scelto per mantenere l’anonimato di questa signora incontrata nei giorni scorsi che,  complice qualche problema di salute, non risultava essere più un candidato ideale per le aziende. Per questo, ormai da dieci anni, presta servizio di assistenza domiciliare, a Piacenza, agli anziani. Dieci anni in cui ha visto di tutto; un’esperienza che ha deciso di condividere, raccontandola senza edulcorazioni.

«L’aspetto più difficile del lavoro? Senza’altro i famigliari dell’assistito. Spesso, pur in presenza di una persona incapace di intendere, invece di spalleggiarti ti attaccano senza ragione, non capendo la situazione e il peso della responsabilità che questo lavoro porta con sè. Ho sempre lavorato introducendo delle regole e cercando di farle rispettare, ma spesso la professione viene confusa con un banale lavoro di servitù».

Anche il rapporto diretto con chi ha bisogno di aiuto non è scevro di criticità ed episodi grotteschi, al limite dell’umiliazione.

«L’anziana per cui lavoravo si trovava con me sola in casa mentre il marito era appena sceso a prendere della frutta in giardino. Non potendo lei stare in piedi autonomamente perchè soggetta a sbalzi improvvisi di pressione, le avevo consigliato di stare seduta mentre stiravo, su suggerimento del marito stesso. Ma lei voleva alzarsi e di nascosto ha chiamato al telefono il marito, dicendole che le impedivo di farlo. Lui è allora salito e si è imbestialito con me per la lite, dicendo che non era tollerabile non potersi allontanare nemmeno un attimo in pace.  La sera stessa, lei ha iniziato a picchiare le posate sul tavolo ed a chiedere al marito di buttarmi fuori di casa, dicendo che l’ospite dopo tre giorni puzza come il pesce. Sono stata quindi invitata ad andarmene di casa così. Per un capriccio e senza preavviso. Per 3 euro all’ora».

Non solo anziani, perchè Francesca si è ritrovata, in carriera, anche alle prese con un profilo ad alta vulnerabilità psichica e ricorda bene l’episodio, tanto da suggerirle di non accettare più con disinvoltura incarichi così delicati.

«Anche se solo per pochi giorni, mi è capitato di seguire una donna bipolare con problemi di alcolismo. Dopo una prima settimana in cui andava tutto bene, c’è stato un momento di crisi di astinenza da alcool. Io volevo impedirle di uscire di casa per andare a prendere da bere e mi sono messa in mezzo. Lei si è molto arrabbiata, ma sono riuscita a calmarla e metterla a letto. Eppure quando sono uscita di casa, ho aspettato qualche minuto fuori dalla porta, per controllarla. Quando lei se ne è accorta e mi ha trovato vicino alla porta, sono volati insulti inenarrabili e minacce di suicidio. Il mio rapporto di lavoro si è esaurito anzitempo. Ma l’obiettivo l’ho portato a termine».

E anche quando l’assistito non era un singolo, ma una coppia, non necessariamente le cose andavano meglio. Anzi.

«Ho seguito anche una coppia di anziani. Lui con il Parkinson e lei con l’Alzheimer. Dormivano in camere separate. Un giorno stavo pulendo la stanza da letto di lui quando mi sono sentita battere la schiena con le dita; mi giro e mi trovo la moglie ad accusarmi: solo le prostitute entrano nella camera degli uomini senza preavviso – mi ha detto. Ma non finiva lì perchè durante i pasti, la moglie non voleva che mangiassi al tavolo con loro perché mi considerava una serva e non voleva mangiassi con i padroni. Così rimanevo in disparte e, senza sedia, a mangiare in piedi sul muretto che divideva angolo cottura e sala da pranzo».

Una situazione difficile da gestire, che nel tempo si era andata aggravando per l’acuirsi di una gelosia della moglie nei confronti della badante.

«Era diventata gelosa di me e a volte mi tirava delle bastonate con il supporto che usava per camminare. Una volta ho rischiato la rottura dello zigomo perché non voleva che portassi fuori il marito per fare ginnastica e rinforzare i muscoli delle gambe, come il medico aveva prescritto a causa della malattia. Lei aveva rubato le chiavi di casa e le aveva buttate nella spazzatura. Per cercarle, oltre a me e al marito, è servito anche l’aiuto dei figli. Alla fine sono saltate fuori, ma lei continuava a intimare a suo marito di non uscire con me. Alla fine, quando lui ha aperto la porta di casa, ha preso prima a manate lui e poi a bastonate me, nonostante cercassi di spiegarle che uscivamo per motivi di salute e non per altro, ovviamente».

Una storia di umiliazioni e soprusi quotidiani, che però – ci tiene a precisare Francesca – vengono compensati da piccole gioie, valevoli più di ogni stortura.

«Quando torno a casa dal lavoro, cerco di tenere salda la fiducia in me stessa. Anche se ogni tanto ne ho piene le scatole. In questo lavoro serve tanta pazienza e il pensiero sempre fisso sul fatto che si sta dando tanto e si riceve sempre in cambio qualcosa: un passato di vita vissuta, un’esperienza da condividere, un insegnamento da portarti a casa e un affetto che chi come me è rimasta orfana in giovane età e ha sempre sentito la mancanza di una famiglia vicino, può veramente apprezzare».

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