Nasce il comitato Salviamospedale. “Ci sono spazi per ingrandire l’attuale nosocomio senza doverne costruire uno nuovo”

Il comitato ricorda come l'ospedale di Piacenza sia tra i più recenti della regiopne (il Polichirurgico è stato inaugurato nel 1994) e ritiene "non fondamentale la costruzione di un nuovo ospedale per avere, fra l’altro, circa gli stessi posti letto"

Si è tenuta questa mattina la prima conferenza stampa del neonato Comitato “Salviamospedale” secondo cui non ha alcun senso la costruzione di unh nuovo nosocomio a Piacenza visto che, a loro giudizio, nemmeno servirebbe e che esistono comunque spazi recuperabili per ampliare e migliorare l’attuale Guglielmo da Saliceto.

Fanno parte del comitato nomi che “pesano” a Piacenza fra cui l’ex sindaco Stefano Pareti, Enrico Sverzellati già dirigente dell’azienda Usl di Piacenza che ben conoscre pregi e difetti dell’ospedale, Giovanni Ambroggi per molti anni direttore della CNA, l’avvocato Augusto Ridella, Stefano Benedetti, Giovanni Monti, Ferruccio Trabacchi.

Nel corso della conferenza è stato illustrato un articolato documento, che trovate qui sotto in cui si evidenzia come nell’area dell’Ospedale di Via Taverna, pari a 90.000 metri quadri vi siano anciora ampi spazi per la realizzazione di ulteriori padiglioni e sia possibile prevedere i necessari parcheggi.

Questo con il vantaggio di non distruggere un’area di 270.000 metri quadrati di area agricola fertile e spostare l’ospedale fuori dalla città. Il comitato non è contro il finanziamento di € 250 milioni disposto dalla Regione, ma chiede di valutare l’ampliamento e l’efficientamento del nosocomio esistente senza doverne per forza costruire uno ex novo.

Nel documento si percorre l’iter del nuovo ospedale

L’inizio della storia parte con l’intervento dell’assessore Venturi nel 2015 che preannuncia un’ipotesi di nuovo ospedale a Piacenza, cogliendo di sorpresa in primis la dirigenza sanitaria e anche la collettività piacentina che non aveva all’ordine del giorno tale ipotesi di lavoro.
Infatti, né i Comuni piacentini, titolari della pianificazione urbanistica del territorio né la Conferenza Socio-sanitaria, avevano ipotizzato la necessità di un nuovo ospedale.
Vogliamo qui ricordare che la sequenza corretta del percorso amministrativo per arrivare a decisioni di questa importanza sarebbe: pianificare – programmare – finanziare. Il tutto con la
massima partecipazione, informazione e trasparenza.
La pianificazione considera la città e il territorio nella loro interezza, in una prospettiva temporale di circa dieci anni, anticipando scelte che altrimenti, prese una alla volta sulla base
di fattori contingenti, potrebbero determinare guasti irreversibili del tessuto e delle funzioni urbane.
Su una questione di questa portata per vastità di interessi, costi e durata degli effetti, occorrono dati, approfondimenti, confronti di idee e chiarezza che tuttora sono mancati. Si è partiti col piede sbagliato: obiettivo di questo documento, anche alla luce delle vicende nel frattempo intervenute con la Pandemia, è quello di riflettere se le scelte fin qui operate siano ancora attuali o vadano radicalmente riviste.
Inoltre, l’annuncio citato contiene una imprecisione circa la vetustà del nostro nosocomio: l’ospedale di Piacenza è tra i più recenti in Emilia-Romagna, il Polichirurgico è stato inaugurato nel 1994 e ha meno di 30 anni.
Per interventi di riqualificazione dei singoli padiglioni fra il 2003 e il 2007 sono stati effettuati lavori per complessivi 23.138.000 euro. Il nuovo pronto soccorso, costato 7,9 milioni di euro, è stato inaugurato nel luglio 2014.
L’idea di un nuovo ospedale da costruirsi a Piacenza è senz’altro suggestiva affascinante. Se a ciò si aggiunge che la regione ha stanziato i fondi, tutto o in parte è da verificare, l’obiettivo è concreto raggiungibile. Finalmente Piacenza non è più la Cenerentola dimenticata da Bologna avremo un ospedale moderno un modello addirittura internazionale. Lo studio di fattibilità presentato, il 20 luglio 2021 ne magnifica le qualità e le potenzialità.
“Un edificio centrale e sei torri: un’Ospedale che richiama il disegno radiale delle Valli appenniniche e quello cartesiano della città, nel quale saranno potenziate e riorganizzate tutte le attività sanitarie attualmente presenti al Guglielmo da Saliceto”. Lo studio di fattibilità ha raccolto la lezione della pandemia e ha orientato le scelte dei tecnici verso una struttura ad altissima innovazione, adeguata alle più moderne esigenze della sanità, soprattutto flessibile, che consentirà di ampliare il numero dei posti letto nel caso di necessità com’è stata appunto la diffusione del virus.”
Queste affermazioni meritano alcune considerazioni. La prima: se nel nuovo ospedale saranno potenziate e riorganizzate tutte le attività attualmente presenti, il nuovo ospedale si configura più come un trasferimento in una nuova “scatola edilizia” di ciò che abbiamo, seppur potenziato e riorganizzato. La seconda: se la “lezione della pandemia” ha portato a prefigurare una flessibilità che consentirà di aumentare i posti letto da 497(gli attuali sono 468) a 576, in caso di necessità, ci sia consentito dubitare sull’effettiva comprensione della lezione venuta dalla pandemia.

La sanità del futuro prossimo

La pandemia, che non ci siamo ancora lasciati definitivamente alle spalle, rappresenta un passaggio epocale per la sanità pubblica e richiede un cambio di paradigma nell’affronto del futuro del sistema sanitario nazionale.
La pandemia ha progressivamente messo a nudo la mancanza di una strategia dell’assistenza territoriale, ed ha evidenziato i limiti di una sanità basata su una visione più ospedale-centrica.
È stato grazie all’alta professionalità, e allo spirito di sacrificio degli operatori sanitari tutti, se il sistema non ha collassato. È stata ad esempio, la costituzione delle USCA, che ha permesso,
portando la prevenzione a casa del paziente, di alleggerire la pressione sull’ospedale. La necessità di mettere al centro del nostro futuro sanitario, il rilancio della medicina territoriale è altresì avvalorato da una serie di indagini condotte dal CENSIS nell’ambito del progetto “I cantieri della Salute” (aprile -giugno 2021) dai quali si evince che “Cosa non potrà non
esserci dopo il Covid-19”:
Per il 91,7% degli italiani più prevenzione dai virus e dalle patologie in generale. Per il 94% sanità di territorio, con più strutture sanitarie di prossimità, medici di medicina generale, specialisti e infermieri a cui rivolgersi.
Per il 70,3% telemedicina e digitale per velocizzare controlli, diagnosi e cure.
E ancora:” La nuova sanità dei cittadini – Cosa si aspettano gli italiani”. Il 52% più efficienza, facendo di più e meglio su liste di attesa, strutture, servizi, ecc.
Il 33,2% più umanità, maggiore attenzione al malato come persona, più ascolto, dialogo, empatia. Il 33% più responsabilizzazione dei cittadini, sul fatto che la sanità pubblica ha un costo e nell’assunzione di stili di vita adeguati Il 30,8% più collaborazione tra i diversi soggetti della sanità, quindi tra pubblico e privato, con non profit, volontariato, cittadini, ecc.
Il DM 71 del 21.04 2022 che ridefinisce gli standard della assistenza territoriale sanitaria enuncia alcuni principi/obiettivi.
Riportiamo di seguito alcuni passi significativi della premessa, che illustrano la riforma: “Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), uno dei primi al Mondo per qualità e sicurezza, istituito con la legge n. 833 del 1978, si basa, su tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza ed equità. Il perseguimento di questi principi richiede un rafforzamento della sua capacità di operare come un sistema vicino alla comunità, progettato per le persone e con le persone”
“L’Assistenza Primaria rappresenta la prima porta d’accesso ad un servizio sanitario. Essa rappresenta infatti l’approccio più inclusivo, equo, conveniente ed efficiente per migliorare la salute fisica e mentale degli individui, così come il benessere della società.
La Direzione Generale della Commissione Salute Europea (DG SANCO), nel 2014, definisce l’Assistenza Primaria come: “l’erogazione di servizi universalmente accessibili, integrati, centrati sulla persona in risposta alla maggioranza dei problemi di salute del singolo e della comunità nel contesto di vita. I servizi sono erogati da équipe multiprofessionali, in collaborazione con i pazienti e i loro caregiver, nei contesti più prossimi alla comunità e alle singole famiglie, e rivestono un ruolo centrale nel garantire il coordinamento e la continuità dell’assistenza alle persone”.
Il SSN persegue, pertanto, questa visione mediante la pianificazione, il rafforzamento e la valorizzazione dei servizi territoriali, in particolare:
– attraverso lo sviluppo di strutture di prossimità, come le Case della Comunità, quale punto di riferimento per la risposta ai bisogni di natura sanitaria, sociosanitaria a rilevanza sanitaria per la popolazione di riferimento;
– attraverso il potenziamento delle cure domiciliari affinché la casa possa diventare il luogo privilegiato dell’assistenza;
– attraverso l’integrazione tra assistenza sanitaria e sociale e lo sviluppo di équipe multiprofessionali che prendano in carico la persona in modo olistico, con particolare attenzione alla salute mentale e alle condizioni di maggiore fragilità (“Planetary Health”);
– con logiche sistematiche di medicina di iniziativa e di presa in carico, attraverso la stratificazione della popolazione per intensità dei bisogni;
– con modelli di servizi digitalizzati, utili per l’individuazione delle persone da assistere e per la gestione dei loro percorsi, sia per l’assistenza a domicilio, sfruttando strumenti di telemedicina e telemonitoraggio, sia per l’integrazione della rete professionale che opera sul territorio e in ospedale;
– attraverso la valorizzazione della co-progettazione con gli utenti;
– attraverso la valorizzazione della partecipazione di tutte le risorse della comunità nelle diverse forme e attraverso il coinvolgimento dei diversi attori locali (Aziende Sanitarie Locali, Comuni e loro Unioni, professionisti, pazienti e loro caregiver, associazioni/organizzazioni
del Terzo Settore, ecc.).
Se quindi il “domicilio” deve diventare il primo centro di cura non può che far riferimento ad un modello erogativo di assistenza sanitaria territoriale che vede nel Distretto sanitario il perno del sistema In questo contesto i MMG e i Pediatri di famiglia hanno una funzione importantissima in quanto sono la vera porta di ingresso al servizio sanitario.
A questo riguardo la Casa di Comunità, già Casa della salute, in quanto struttura in cui opereranno i teams multidisciplinari di Medici di Medicina Generale, di Pediatri di libera scelta, di Medici Specialistici, di Infermieri di comunità ed altri professionisti della salute, diventerà il riferimento prioritario del cittadino.
L’Ospedale sarà solo luogo preposto alla cura di acuzie o malattie gravi. Per i ricoveri brevi ed i Pazienti a bassa intensità di cura, ci si dovrà rivolgere all’Ospedale di Comunità, una struttura a gestione prevalentemente infermieristica, con numero limitato di posti letto.
In questo ambito collaborativo anche le farmacie convenzionate con il SSN ubicate uniformemente sull’intero territorio nazionale, costituiscono presidi sanitari di prossimità e rappresentano un elemento fondamentale ed integrante del Servizio sanitario nazionale.
Quanto appena descritto, circa le attività svolte dalle farmacie, si innesta integralmente con le esigenze contenute nel PNRR riguardanti l’assistenza di prossimità, l’innovazione e la
digitalizzazione dell’assistenza sanitaria.

Rigenerare l’attuale Ospedale

Il richiamo a questi riferimenti ha lo scopo di inquadrare correttamente l’ospedale del futuro, il suo ruolo e i suoi compiti specialistici.
L’attuazione degli obiettivi indicati nel decreto ministeriale, se attuati correttamente ed in tempi ragionevolmente brevi, come sembra orientata a fare la nostra Azienda USL. Dovrebbe drenare in modo drastico una serie di interventi che oggi gravano impropriamente sull’ospedale (vedasi la denuncia del Responsabile del pronto soccorso che oltre alla cronica mancanza di personale, rileva che nei primi 4 mesi su 22.000 pazienti il 60% era a bassa intensità).
Quanto richiamato ha una sua logica, che deve essere attuata dalle varie realtà provinciali, l’obiettivo dichiarato e quello di predisporre una rete ben articolata di servizi assistenza alla persona che individua nell’ospedale un ruolo “residuo”, da riservare ai malati acuti, agli approfondimenti diagnostici, alle cure specialistiche, alla ricerca.
Venendo alla realtà piacentina chiamata ad attuare la riforma e con l’attuale tendenza ad avere sempre meno ricoveri, ad agire secondo le logiche dell’Hub and Spoke, delegando numerose funzioni ad ospedali provinciali come Castel San Giovanni e Fiorenzuola e, vista la tendenza a centralizzare altre funzioni di tipo non assistenziale diretto (farmacia ed il 118 ed in un futuro, probabilmente il laboratorio analisi) presso Altri ospedali dell’Emilia nell’ottica della
area vasta Emilia Nord-AVEN- non è da considerare come fondamentale la costruzione di un nuovo ospedale per avere, fra l’altro, circa gli stessi posti letto.
Alla luce dei fatti e delle considerazioni fin qui svolte, appare ragionevole valutare seriamente un’ipotesi di rigenerazione dell’attuale nosocomio, trovando in questa sede le risposte ai problemi oggettivi che più volte sono stati segnalati sia dagli operatori sanitari sia dai cittadini.
Avendo sempre presente come stella polare la qualità della prestazione medica da un lato e la centralità della persona/paziente dall’altro.
È quanto è avvenuto in altre realtà a noi vicine: Parma Modena, Bologna, in questi anni non hanno costruito nessun “nuovo ospedale”, ma hanno via via implementato ed aggiornato il nucleo storico, con ciò che serviva, evitando di sradicare l’ospedale dal cuore della Città.
Riteniamo che questo modo di procedere, possa essere valutato anche per Piacenza se si prende in esame un’area più vasta che lascia intravedere il possibile sviluppo di una Cittadella sanitaria che comprenda: l’area ex Acna, l’area di via Anguissola, aree recuperabili all’interno dell’arsenale.
Utilizzando le risorse stanziate per l’edilizia ospedaliera, che nessuno vuole perdere, oggi previste per la costruzione del nuovo ospedale.
Un progetto organico e ben articolato di tutta quest’area può dare risposta alla necessità di parcheggi divisi per personale interno e visitatori esterni, recuperando all’interno del “vecchio” aree edificabili per strutture moderne ed efficienti atte a risolvere le carenze di spazi spesso lamentate dai medici.
In una frase può rendere l’attuale ospedale al passo con i tempi e con le necessità moderne.
Avendo a mente che nell’arco di 50 km fortunatamente per Piacenza, esistono tre ospedali universitari Parma, Milano, Pavia.
E come si dice nel decreto citato avviando una collaborazione intraregionale virtuosa.
Questa ipotesi di lavoro da effettuarsi con la gradualità necessaria evita il degrado dell’attuale struttura (l’esempio della ex Clinica Belvedere dovrebbe far riflettere) che invece deve essere potenziata a partire innanzitutto dal personale medico e paramedico necessario, ed acquisendo le strutture e le attrezzature tecnologiche d’avanguardia che oggi sono disponibili, dando risposte oggi e non fra dieci anni alle necessità dei piacentini.
(Vogliamo sommessamente far notare che il “nuovo ospedale” di Ferrara analogo a quello che si prospetta per Piacenza è costato 500 milioni ed ha impiegato 20 anni per vedere la luce).
Questa ipotesi di lavoro, che va approfondita in tutti i suoi aspetti di fattibilità, evita lo spreco di nuovo territorio agricolo e l’ubicazione in area periferica una nuova struttura ospedaliera, con tutte le difficoltà di accessibilità che comporta in particolare per la popolazione anziana.
Lo stesso progetto di collocare nell’area dell’ex ospedale militare il corso di medicina e chirurgia in lingua inglese dell’Università di Parma, ne trarrebbe vantaggio vista la contiguità fra le due aree.
Sono questi in estrema sintesi le ragioni che hanno portato al promozione del Comitato Salviamospedale.
In questi primi mesi del 2022 è cambiato il mondo per cui non è utopia cambiare una decisone assunta, in modo estemporaneo ormai sette anni fa, e dare risposte oggi ai piacentini mantenendo efficiente e aggiornato l’attuale ospedale migliorandolo dove serve.

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