Per il ritorno del Klimt ora abbiamo una data ma servirebbe anche un progetto

Riflessione dell'architetto e designer piacentino Franz Bergonzi su come si potrebbe sfruttare l'esposizione del Ritratto di Signora per rilanciare la galleria Ricci Oddi e la città e su cosa invece non si sta facendo

Klimt ritratto di Signora rubato a Piacenza

Fra le tante voci che si inseriscono nel vivace dibattito intorno al ritrovato Ritratto di Signora di Gustav Klimt c’è anche quella di Franz Bergonzi architetto e designer piacentino, professore incaricato alla Facoltà di Disegno Industriale, fondatore dello studio mumble che si occupa di comunicazione, strategia, design ed architettura ed ha collaborato con marchi importanti come Facile.it, Mercedes Italia, Piaggio, Momo, Nestlè oltre ad aver lavorato per varie aziende ed istituzioni della nostra provincia.

A poche ore dalla notizia che, a novembre, il quadro ritrovato sarà finalmente esposto al pubblico molti si pongono una serie di legittime domande su quali strategie verranno messe in campo per sfruttare al massimo un’occasione unica a livello mondiale. La Gioconda non è probabilmente l’opera migliore di Leonardo come il Ritratto di Signora non lo è di Klimt ma il furto ed il successivo ritrovamento potrebbero regalare al quadro piacentino un’incredibile notorietà come è successo per la signora di Da Vinci. A patto di saper giocare bene le proprie carte. Sarà in grado questa città di farlo? Bergonzi avanza alcuni, condivisibili dubbi e mette sul piatto suggerimenti (gratuiti). Ecco quali.

«C’è una data. Non c’è ancora, o perlomeno non è pubblico, un progetto e neanche l’aria condizionata. Non c’è nemmeno chiarezza tra le parti rappresentate nel cda della Galleria. Non c’è una strategia di comunicazione per ammantare di mistero la questione, alzare il livello della suspense e attirare l’attenzione di un pubblico che, ricordiamo, potenzialmente non è solo italiano, ma internazionale.

La Signora è pronta da mesi, ma Piacenza, paradossalmente, non è pronta perché non ha mai investito sulle sue risorse artistiche e culturali, non ha mai comunicato e non ha mai elaborato strategie o partnership adeguate.

Non solo sulla Galleria Ricci Oddi ma neanche su Palazzo Farnese, sul Fegato Etrusco o su altri tesori che custodiamo in modo talmente riservato … che non si sa in giro.

La questione si trascina da decenni forse perché una città ricca non ha mai sentito il bisogno di valorizzare i suoi giacimenti culturali oppure per indifferenza o forse anche per ignoranza della classe dirigente o per tutte e tre le cause.

Se restringiamo il campo alla Galleria Ricci Oddi (Giuseppe Ricci Oddi il mecenate e Giulio Ulisse Arata l’architetto) è sufficiente sapere che è stata chiusa tutto agosto e non ha ancora un impianto di aria condizionata.

Se ci passate davanti vedrete erba alta, intonaci scrostati sul fronte, una vecchia targa consunta e soprattutto un ingresso su strada costretto tra le linee blu dei parcheggi a pagamento, quasi che eliminare due stalli e creare un ingresso degno e visibile sia un’operazione complessa.

Non sapendolo potrebbe sembrare quindi una bellissima costruzione decadente in disuso.

Se l’impressione è questa può sorprendere ancor di più sapere che nel cda non è presente nessuno che sia esperto di valorizzazione dei beni culturali ed in comunicazione: discipline già consolidate nel resto del mondo, ma qui più ignote di un UFO.

D’altronde Ricci Oddi doveva essere un alieno considerando come i piacentini hanno trattato il suo lascito e come la maggior parte dell’élite piacentina ha a cuore arte e cultura della città. Questo è il più grande problema da cui discende tutto e crea terreno fertile per diatribe, sgambetti, fuoco amico e fughe in avanti che poi si traducono in degrado non essendoci un progetto. Non esiste una vera piattaforma di confronto ed ognuno dice la sua tra politica e potere.

Perché – faccio un esempio banale – il Klimt poteva essere attrattivo anche prima semplicemente esponendo una copia e specificando che era una copia ma costruendo uno spazio dedicato ed una narrazione che poteva riscaldare l’attenzione prima dell’esposizione vera. Nel mondo molti musei espongono falsi senza neanche dirlo…

Il ritrovamento del Klimt (e le indagini?) non ha meriti, è solo una gran botta di culo che può rappresentare una svolta per l’intero sistema piacentino oppure può risolversi una cosina provinciale, con un’eco a rapida consunzione. Una fiammata per poi ricadere nel blob che ingloba tutto il resto. Blob a cui tutti noi, perlomeno le categorie professionalmente vicine a questo tema (ad esempio gli architetti), abbiamo contrapposto una troppo debole resistenza.

Ora c’è la grande occasione, un treno che così non passerà più a meno di non organizzare un altro furto/ritrovamento o qualcosa di altrettanto clamoroso.

Il clamore del ritrovamento e l’attenzione che si è sviluppata già sono due motori molto efficaci, ma poi la città deve progettare un evento e una strategia di comunicazione coerenti (i social, strumento utile non vanno da soli ma vanno governati).

Un vero progetto poi, tanti esempi ce lo insegnano, è fatto anche di interventi su aspetti operativi apparentemente banali, ma anche sulla costruzione di un effetto sistema che lega le altre risorse culturali e incide anche sull’accoglienza. Fatta di segnaletica analogica e digitale, di ristorazione, di merchandising (non solo quello banale ovviamente), di arredo urbano e un di bookshop interno degno di tale nome dove si possa anche consumare qualcosa. Non è solo questione di soldi, perché un po’ sembra ci siano (mentre è il tempo che sembra insufficiente) ma di sensibilità, esperienza e competenza e anche amore per la nostra città.

In questo modo la Ricci Oddi ridiventerebbe una casa per l’arte con un respiro perlomeno europeo e ci guadagnerebbe tutta Piacenza, cosa che tutti vogliamo. Quindi incrociamo le dita e facciamo il tifo per la Signora e il miracolo di visibilità che ci ha regalato».

Franz Bergonzi

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