Riforma Popolari: l’Avvocato generale UE rimanda all’Italia

La scorsa settimana ci eravamo occupati del parere non vincolante rilasciato dall’avvocato generale della Corte dell’Ue, Gerard Hogan sulla Riforma delle banche popolari varata nel 2015 (il cosiddetto Investment compact). Oggi torniamo a parlarne grazie al arere “tecnico” del piacentino avv. Corrado Sforza Fogliani, Presidente Assopopolari.

«Il Consiglio di stato ha depositato il 5 novembre del 2018 una domanda di pronuncia pregiudiziale presso la cancelleria della Corte di giustizia europea. In 5 diverse questioni, il massimo organo di giustizia amministrativa italiano ha chiesto se la riforma delle Popolari (emanata nel 2015) sia compatibile con i requisiti del diritto dell’Unione. Ieri l’Avvocato generale della Corte, in particolare sul fatto che sia compatibile la soglia di 8 miliardi di euro di attivo al di sopra della quale le banche popolari sono obbligate a trasformarsi in società per azioni, ha fatto presente di ritenere (paragrafo 108 delle Conclusioni) che i principii e le norme europee sulla libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali non ostino “in linea di principio“ con una normativa nazionale che limiti l’esercizio delle attività delle banche cooperative entro una determinata soglia di attivo, imponendo che la banca interessata sia trasformata in una società per azioni qualora essa superi tale soglia e ciò se la normativa sia adottata al fine di garantire una sana governance e la stabilità dell’intero settore bancario o di una determinata parte di esso in uno stato membro nonché se la restrizione imposta dalla normativa sia necessaria per il conseguimento di detti scopi e abbia carattere di proporzionalità. I parr. 105 e 106 delle Conclusioni recitano letteralmente quanto segue: il primo dei due che “E’ tuttavia necessario che le restrizioni in questione, che si tratti della libertà di stabilimento o della libera circolazione dei capitali o dei diritti riconosciuti e tutelati dagli artt. 16 e 17, par. 1 della Carta (sulla libertà di impresa e la proprietà dei beni ndr) siano idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non eccedano quanto necessario per raggiungerlo”; il secondo: “Spetta in ultima analisi al giudice nazionale, che è solo competente a valutare i fatti della controversia principale (aperta dal Consiglio di stato ndr) e ad interpretare il diritto nazionale, stabilire se nel caso di specie siano soddisfatti tali requisiti di necessità e proporzionalità” (prima indicati dall’Avvocato generale).

Pacificamente, è dunque il Consiglio di stato che deve valutare se lo stato italiano sia stato costretto – non ha dubbio alcuno, al proposito, il prof. Fausto Capelli, uno dei difensori delle Popolari – per motivi di necessità evidenti ad introdurre unilateralmente, unico tra i 28 Paesi membri, il divieto per le banche cooperative di esercitare l’attività bancaria in caso di superamento della soglia di attivo già indicata e se tale divieto risulti conforme ai principii di ragionevolezza, equità e non discriminazione, tenuto naturalmente conto che in tutti gli altri Paesi membri operano da tempo banche cooperative che superano di gran lunga la soglia di Euro prevista dalla normativa italiana (decine di banche cooperative europee superano infatti i 150 miliardi di attivi e due banche come Rabobank e Crédit Agricole superano addirittura 1.000 miliardi di euro, per non parlare di Germania, Stati Uniti e Canada, con una banca come la Desjardins). Da ultimo il Consiglio di stato dovrà verificare – anche su questo il prof. Capelli non ha dubbi – se l’imposizione obbligatoria degli 8 miliardi rispetti il principio di proporzionalità, in relazione all’obiettivo perseguito che, secondo l’Avvocato generale, sarebbe rappresentato da una “sana governace” e dalla stabilità del settore bancario.

Lasciamo stare di considerare come la stampa italiana – controllata, si direbbe, dal pensiero unico e dalla finanza internazionali – abbia riferito delle Conclusioni. In sostanza, infatti, il Consiglio di stato ha chiesto alla Corte di giustizia se la riforma delle Popolari contrasti col diritto europeo. L’Avvocato generale ha detto: “di per sé no, deve valutarlo il giudice nazionale”. Molti giornali (non, MF) hanno riportato solo che non contrasta e non hanno ripreso un’agenzia di stampa nella quale Assopopolari aveva ieri detto quello che ho scritto sopra. Ma questo – oggi – non impedisce che ciascuno possa “giudicare oggigiorno se l’imposizione della soglia alle condizioni imposta dal Governo italiano (presieduto da Matteo Renzi) poteva consentire il raggiungimento degli obiettivi predetti”. Sappiamo infatti oggi – addirittura – che non se la sono cavata bene proprio delle banche popolari convertite in spa e soprattutto sappiamo che le banche cooperative sono odiate dalla finanza internazionale perché si difendono dalla stessa col voto capitario così come sappiamo che i fondi speculativi internazionali condizionano (al minimo) tutte le banche popolari che hanno dovuto cambiare natura giuridica. Sappiamo d’altra parte che – con la riforma del 2015 – si è dato un grosso spintone all’eliminazione della concorrenza. Le Popolari erano 200 nell’Ottocento, difese per questo dalla Banca d’Italia, in un periodo, quindi, nel quale si operò – proprio soprattutto tramite le banche di territorio – la trasformazione dell’Italia agricola in industriale, portando così – con la Destra al governo e in 15 anni in tutto, nonostante l’enorme debito preunitario – al pareggio del bilancio prima e alla Lira che faceva aggio sull’oro, dopo».

 

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