“San Francesco e Santa Maria di Campagna piccole Onu medievali e rinascimentali”

Origine e funzione civica delle due chiese piacentine spiegate dall’arch. Manrico Bissi nel primo incontro dell’Ottobre francescano a cura di Famiglia piasinteina e Banca di Piacenza

Nel giorno in cui si è festeggiato il santo di Assisi, il primo appuntamento dell’Ottobre francescano a cura della Familia piasinteina (inserito nel programma delle Celebrazioni dei 500 anni promosse dalla Comunità francescana e dalla Banca di Piacenza), ha riguardato i due templi civici della Piacenza medioevale e rinascimentale: le basiliche di San Francesco e di Santa Maria di Campagna svelate, con la consueta abilità, al pubblico presente alla Biblioteca del Convento dei Frati Minori da Manrico Bissi, presidente di Archistiorica, che ha definito le due chiese francescane «piccole Onu del Medioevo e del Rinascimento», a significare il ruolo loro attribuito (e idealizzato) dalla Comunità piacentina.

«Il tardo Duecento e il primo Cinquecento – ha spiegato l’arch. Bissi – furono per Piacenza due periodi di grande instabilità politica: prima le lotte comunali tra guelfi e ghibellini, poi gli estenuanti conflitti tra Francia, Spagna e Papato causarono alla nostra città gravi turbolenze economiche e sociali, innescando per contro il desiderio della Comunità di trovare un equilibrio e un’armonia istituzionale che potesse comporre i contrasti e le ostilità». In un’epoca fortemente permeata dalla spiritualità e dal senso del divino, «tale auspicio – ha proseguito il relatore – non poteva che affidarsi all’opera dell’Ordine Francescano, noto e stimato per la sua vocazione alla pace e alla fratellanza universale. Fin dagli anni Trenta del secolo XIII, i frati piacentini di S. Francesco si erano guadagnati un ruolo chiave nel Libero Comune, figurando tra i “grandi elettori” che avviavano l’iter per la nomina del podestà. La loro reputazione come protettori dell’armonia cittadina si era poi rafforzata sul finire del secolo, quando la mediazione francescana (promossa dal papa Gregorio X) aveva finalmente portato alla sospirata pacificazione tra il ghibellino Ubertino Landi e i notabili guelfi locali».

A coronamento di ciò, nel 1278 i frati di S. Francesco avevano avviato la costruzione del loro nuovo e imponente convento, sorto in pieno centro (sulla piazza del nuovo Comune borghese) sulle rovine delle case che il Landi aveva ceduto all’Ordine. Da quel momento la grande chiesa di S. Francesco si impose sulla piazza grande della città (oggi piazza Cavalli) come un vero e proprio “presidio” posto a difesa dell’armonia politica e sociale di Piacenza: «Non a caso – ha sottolineato il presidente di Archistorica – le sue fondamenta sorgono in un luogo baricentrico rispetto a polarità opposte, ossia il quartiere guelfo e popolare degli Scotti (S. Giovanni in Canale) e il rione ghibellino e nobiliare dei Landi (S. Lorenzo). Da allora, e per i successivi sette secoli, i piacentini elessero S. Francesco come la sede naturale per le principali assemblee civiche: ciò avvenne ad esempio nel 1547, quando i maggiorenti si riunirono nella chiesa per approvare l’annessione di Piacenza alla Lombardia di Carlo V; e ancora nel 1848, quando fu votata l’unione della città al Regno di Sardegna».

La stessa aspirazione di pace e di armonia segnò anche la fondazione di S. Maria di Campagna, la cui prima pietra fu posata nel 1522 dopo che i piacentini ebbero conferma della definitiva annessione della città al Papato: «Ciò poneva fine ad oltre venti anni di continui sconvolgimenti politici – ha osservato ancora l’oratore – che avevano visto avvicendarsi numerose ed effimere occupazioni spagnole e francesi. Il progetto della grande chiesa, realizzato da Alessio Tramello, prevedeva la creazione di un organismo architettonico a croce greca e a pianta centrale, espressione concreta di armonia e di equilibro tra le varie parti di un organismo: l’impresa fu commissionata direttamente dalla Comunità piacentina, che rimase perciò proprietaria dell’edificio per tutti i secoli successivi fino ad oggi».

Venticinque dopo l’avvio dei lavori (1547), per volere del duca Pier Luigi Farnese la chiesa di S. Maria di Campagna fu convertita ad uso monastico e affidata ai frati francescani Minori Osservanti, che vi costruirono un proprio chiostro conventuale: «Ancora una volta – ha concluso l’arch. Bissi, molto applaudito dal pubblico presente – l’idea di pace e di equilibrio si associava quindi alla presenza religiosa francescana. La destinazione civica della chiesa fu ulteriormente ribadita dalla frequentazione dei duchi di Casa Farnese, che elessero S. Maria di Campagna a loro sepolcro di Corte: nelle tombe del coro giacciono infatti il corpo di Isabella Farnese (1668-1718) e il cuore del fratello Francesco (1678-1727), settimo duca di Piacenza e Parma».

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