Secondo FP CGIL le liste d’attesa delle Ausl sono un problema di sistema

"Il Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno di essere riformato a partire dall'organizzazione dei percorsi di cura superando le tradizionali divisioni fra ospedale e territorio"

Guglielmo Lanza della segreteria Nazionale FP CGIL Medici e Dirigenti SSN e Melissa Toscani segretaria generale FP CGIL Piacenza intervengono sul tema delle liste d’attesa presso le strutture dell’Ausl di Piacenza.

«In questi giorni – scrivono – sono usciti alcuni articoli sulla questione liste d’attesa nell’Azienda USL, con gli interventi della Sindaca di Piacenza e del Coordinamento provinciale salute e medicina territoriale. Affrontare il problema solo in termini numerici, mettendo a confronto le percentuali di sforamento dei tempi per visite specialistiche, indagini strumentali, interventi chirurgici programmati fra le varie aziende sanitarie della Regione, significa affrontarlo dalla parte sbagliata».

«Il problema delle liste d’attesa – spiegano Lanza e Toscani – è la conseguenza dalla forte crisi di sistema che il Servizio Sanitario Nazionale sta attraversando da almeno 20 anni e che la pandemia ha reso drammaticamente evidente anche in territori del Paese che fino a ieri ne erano rimasti indenni. Dal 2010 al 2019, infatti, a causa dei tetti e dei pesanti tagli imposti alla spesa per il personale dai diversi governi, il Servizio Sanitario Nazionale ha perso circa 45mila dipendenti: medici, infermieri, operatori sanitari ed amministrativi che hanno lasciato il lavoro per pensionamento e che per legge non si è potuto sostituire».

«Alcune Regioni che possiamo definire virtuose, tra cui l’Emilia-Romagna – proseguono i rappresentanti sindacali –  hanno usato risorse proprie per assumere personale, riuscendo in tal modo a garantire, pur fra mille difficoltà, le prestazioni sanitarie e sociali ai propri cittadini nei tempi previsti. Ma era un equilibrio instabile che la pandemia ha spezzato. Da marzo 2020, infatti, nella nostra come in altre province, l’organizzazione ospedaliera è stata completamente stravolta da continue riprogrammazioni, tutte finalizzate ad affrontare l’urto enorme della pandemia ma che, nonostante la dedizione e il sacrificio di tutto il personale sanitario e non sanitario, non hanno potuto evitare il crollo immediato della cura e dell’assistenza territoriale, la disperazione, le troppe morti, la negazione del diritto alla salute di tutti quei cittadini che sono morti perché non hanno potuto curarsi. In Regione si stima che in due anni siano saltate visite specialistiche, esami strumentali ed interventi chirurgici per più di un milione di prestazioni».

«I decreti emergenziali del 2020 e del 2021 hanno permesso alle aziende sanitarie di assumere personale precario per affrontare l’emergenza pandemica (da marzo 2020 ad oggi circa 66 mila lavoratori in tutta Italia tra medici, infermieri, tecnici di laboratorio, assistenti sanitari, amministrativi ecc). Ma anche a Piacenza i contratti della grande maggioranza di questi lavoratori, che oggi potrebbero aiutare a smaltire le liste d’attesa, scadranno a giugno di quest’anno e il governo, nonostante gli annunci del Ministro della Salute, non ha stanziato un euro, né ha sbloccato il tetto di spesa per la loro stabilizzazione. I 2 miliardi in più per il Ssn previsti dalla finanziaria, infatti, non basteranno nemmeno per ripianare le spese per l’emergenza Covid-19 (stimata nel 2021 in 2,2 miliardi di euro) e le aziende sanitarie della Regione si ritroveranno a dover affrontare il problema delle liste d’attesa con un numero di personale inferiore all’attuale».

«Il solo pensare – avvertono Lanza e Toscani – di chiedere agli operatori sanitari uno sforzo ulteriore facendo leva sul loro senso di responsabilità significa mancare loro di rispetto, oltre che mettere in pericolo la sicurezza loro e degli utenti, e non avere la percezione di quanto sta accadendo, così come è fuori dalla realtà chi pensa di aumentare i servizi negli ospedali periferici o riaprire pronti soccorsi senza il personale necessario e le funzioni specialistiche di supporto.

Vi sono anche altri fattori che aggravano la scena: grossolani errori di programmazione hanno limitato per anni l’accesso alle scuole di specializzazione da parte dei medici neolaureati e negato a molti giovani l’ammissione alle facoltà di scienze infermieristiche specialmente al sud, causando oggi una ulteriore difficoltà a trovare personale; la fuga dei medici dal settore pubblico verso territori più accoglienti e remunerativi nel settore privato; le difficoltà delle cure e assistenza territoriale e la difficoltà di comunicazione, mai risolta, fra cure primarie e medicina ospedaliera; il numero enorme di accessi al pronto soccorso con la conseguente iper richiesta di prestazioni diagnostiche e specialistiche».

«Per non soccombere – concludono i sindacalisti della Fp Cgil – il Servizio Sanitario Nazionale ha bisogno subito di un piano straordinario di assunzioni e di essere adeguatamente finanziato. Ha bisogno di una grande riforma che oltre alla sostenibilità economica guardi al cambiamento organizzativo dei percorsi di assistenza e cura per superare le tradizionali divisioni fra ospedale e territorio, ad un nuovo modo di intendere la prevenzione, al rilancio della medicina di base, ad un ripensamento della funzione dei distretti, al ruolo fondamentale dei sindaci in veste di promotori di salute nei territori, alle cittadine ed ai cittadini come soggetti al centro del sistema, ai medici, agli infermieri e a tutti gli operatori sanitari e amministrativi, per ridare loro il protagonismo e la dignità toltegli da trent’anni di medicina amministrata».

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