Talvolta l’hashtag gioca brutti scherzi e dall’arte si finisce ai noodles

Il progetto #instagrom propone sui social video alcune fra le opere più interessanti della Ricci Oddi. Il tag scelto però, su Instagram, porta verso post che nulla hanno a che fare con Piacenza e la galleria d’arte moderna

E’ stata presentata nei giorni scorsi presso la galleria Ricci Oddi di Piacenza la seconda edizione del progetto #instagrom “mirato a promuovere la conoscenza del patrimonio museale della Galleria attraverso una serie di brevi videoclip dedicati alle sue opere più rappresentative”. Un’iniziativa assolutamente lodevole e che infatti ha trovato il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano nonché quello della Caffè Musetti, oltre che la partnership del Comune.

#instagrom è un acronimo in cui GRO sta per Galleria Ricci Oddi, insta probabilmente è ispirato al noto social network Instagram mentre il cancelletto iniziale indica l’hashtag cioè il metadato che serve ad aggregare i contenuti legati ad uno specifico tema.

Su Instagram e Facebook, scrivendo ad esempio #opentomeraviglia si pescano in rete centinaia di post, taluni critici talaltri ironici sulla campagna lanciata dal ministero del turismo per promuovere il Belpaese.

Scrivendo #ferrari compaiono 26.758.738 post, tutti dedicati a supercar ed ancora digitando #gutturnio si trovano 10.296 post dedicati al vino delle nostre valli.

Per questo la scelta di un hashtag è fondamentale quando si concepisce una campagna di comunicazione pensata per i social e serve per agevolare la categorizzazione dei propri post, ad identificare facilmente il contenuto di una foto o di un video e ad aumentare la copertura dei propri post verso audience diverse da quelle dei follower abituali.

Qualcosa in questo meccanismo si deve essere inceppato allorché è stato scelto l’hashtag #instagroom come “parola chiave” il progetto a favore della Ricci Oddi.

Andando a vedere il post dedicato all’iniziativa, pubblicato nei giorni scorsi sulla pagina della galleria, compare  il famoso tag #instagrom. Cliccando sul link anziché visualizzare i video esplicativi sulle opere (clip che dovrebbero strizzare l’occhio al pubblico più giovane) si finisce in un ricco archivio di post (18,8 mila) molti dei quali  dedicati ad un monumento della cucina orientale, i noodles. Interessante, per carità, appetitoso, ma poco in tema con il museo piacentino.

Le cose vanno meglio su Facebook dove l’hashtag #instagrom conduce effettivamente ad alcuni post dedicati ai video della galleria, mischiandoli però con quelli di una famosa marca di gelati (che condividono parte del nome con l’iniziativa di casa nostra) e a tanti video indiani (dove evidentemente il nome deve avere un qualche recondito significato).

Peraltro, a differenza di Instagram e TikTok, Facebook non è un social molto adatto per intercettare “le più giovani generazioni” alle quali il progetto si rivolge con “brevi video che promuovono la conoscenza del patrimonio museale puntando su un linguaggio agile“. Difficile trovare qualcuno sotto i trent’anni che frequenti le pagine del network di Mark Zuckerberg.

Insomma la scelta di improntare anche graficamente un intero progetto su un hashtag che non è “unico ed univoco” rischia di portare traffico a sconosciuti e lontani instagrammer d’oriente fra spaghetti di soia e balletti in stile Bollywood e meno a generare traffico ed attenzione verso la galleria di via San Siro.

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