Una riforma sbagliata che non è riuscita a distruggere la funzione delle banche popolari

"Hanno mutato la geografia del sistema bancario ma non hanno distrutto tradizione e funzione delle popolari specie contro la desertificazione del credito"

Non so se la riforma delle Popolari, oggi, si farebbe ancora. Fu fatta per decreto legge (figurarsi, una riforma del genere, epocale), in un momento di obnubilamento generale, indotto dagli interessi del pensiero unico internazionale. Oggi che i risultati di quella linea di azione si sono visti (banche acquistate ad un euro e così via), oggi che si è capito che il credito cooperativo va bene, ed è ammesso, in tutto il mondo (dagli Stati Uniti al Canada, alla Germania, alla Francia), ed anche in Italia se a guidarlo è però il capitale straniero (Credit agricole), oggi che il panorama bancario è quello – come avevo facilmente previsto –  di un oligopolio incombente, per di più governato dal capitale estero, oggi forse la politica non si piegherebbe (come si piegò) ad una devastazione senza precedenti, che lo stesso regime fascista aveva tentato di fare, ma non era riuscito a fare. E si capisce perché: lo spirito indipendente che caratterizza le banche di territorio (e Popolari) era congeniale allo stato liberale, che fece con esse – quando esse erano un terzo dell’intero sistema – la costruzione dell’Italia unita, il suo sviluppo e poi, ancora, la sua trasformazione da agricola in industriale, la sua ricostruzione.

All’indomani della conversione coatta di una banca cooperativa solida e coi conti a posto com’è, e rimane, la Popolare di Sondrio (quindi, lo scopo della riforma non era quello di salvare banche…), rendiamo anzitutto merito ai suoi amministratori che, con spirito indomito, per tanto tempo hanno saputo resistere alla furia della trasformazione coatta, voluta dall’Europa e dalla finanza straniera, che ha dominato e domina. E sottolineiamo con forza (sulla base delle perspicue argomentazioni di un economista tanto grande quanto indipendente come Giulio Sapelli) che il credito cooperativo dimostra vieppiù la sua vitalità e che ad esso, ancora una volta, toccherà di riportare credito e sviluppo nelle zone nelle quali esso è pressoché scomparso.

Le Popolari che si sono salvate, dalla trasformazione coatta, hanno questo grande compito da svolgere, hanno per sé l’avvenire. Se non gli si frapporranno ostacoli, se gli si permetterà di crescere senza essere obbligate a trasformarsi (che è invece ciò che la legge oggi prevede, e andrebbe spiegato e fatto sapere alla politica), se cioè gli si consentirà di crescere senza perdere l’identità, saranno le banche di territorio che faranno ciò che le grosse banche non hanno fatto in Italia, ma fanno all’estero: quello di crescere per linee interne anziché distruggendo quel tessuto prezioso che – quando non si pensava solamente ad eliminarlo, spesso per accidia – lo si faceva crescere perché assicurava la concorrenza fra banche (e forse, proprio questa è una delle ragioni della loro distruzione).

Ma c’è di più. Ora è stata obbligata a trasformarsi una Popolare che non lo ha fino all’ultimo voluto farlo (contrariamente ad altre) e che neppure oggi vuole rinunciare ad una formula profittevole come nessuna altra. A riprova di questo, il fatto che i soci della Sondrio hanno anch’essi resistito fino all’ultimo, anche votando (obbligatamente, ad evitare il peggio) la trasformazione in 2500 in tutto, su 180mila. Le Popolari rimaste, a cominciare dalla Sondrio, continueranno ad operare, per i loro soci e per i loro territori. La desertificazione dei servizi bancari, alla quale pongono oggi rimedio solo le Popolari (per i territori che hanno saputo preservarsele), dimostra che le banche di territorio hanno ancora un grande compito da svolgere e che nessuna altra banca può svolgere.

Corrado Sforza Fogliani presidente Assopopolari

 

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