Viva la Val Trebbia, abbasso la Val Trebbia

La Val Trebbia pare piacerci davvero tanto. Ma se piace ad altre mille persone ci piace un po’ meno

Un'immagine aerea del Trebbia (foto Roberto Carattoni)

Brutta storia, il bipolarismo. Pessima se si considera che a farne le spese è un’intera vallata. Ed al momento all’orizzonte non c’è nessun rimedio, nemmeno in fase di primissima analisi e studio.

Il ritornello è quello suonato ogni fine settimane da una Talman accordata male e suonata peggio. Foto di parcheggi selvaggi a bordo Statale 45, ombrelloni aperti per tutta la lunghezza del Trebbia e coro di voci d’accompagnamento che cantano due pezzi diversi. Uno che celebra l’afflusso di turisti, il secondo che quei turisti non vorrebbe proprio vederli.

Il contrasto è fin troppo evidente e stride con i timidi tentativi di valorizzazione perpetrati senza un piano di comunicazione organico e funzionale. Che a quanto pare – e qui si registra una bizzarra manchevolezza positiva – non servirebbe neppure considerando che il prodotto Val Trebbia si vende e si è venduto praticamente da solo.

Al contempo però davvero si pensa che postare una foto del Trebbia vada bene per raccattare qualche cuore su Instagram lasciando al contempo a secco il turista? Qui il bipolarismo è evidente: si pretende di riportare alla luce un tesoro, piazzare una ics rossa sulla mappa e sperare che nessuno arrivi ad ammirare i riflessi dei dobloni.

Senza nuova scomodare il coronavirus – che ormai ha sopravanzato le condizioni meteo in tutte le  conversazioni senza sbocchi – appare fin troppo evidente come l’estate 2020 prevederà (e già ha previsto) un turismo diverso rispetto a quello delle stagioni precedenti. Le case in affitto nelle colline piacentine sono andate a ruba con la ricerca di un angolo di tranquillità lontano dalle mete normalmente più battute. Si parla di “turismo di prossimità” con la Coldiretti ad affermare come “la vacanza cult sarà quella negli agriturismi”.

E in prossimità di carte da giocare nel mazzo Val Trebbia ne avremmo tante. Solo che il più delle volte sono sbiadite come i cartelli stradali che segnalano itinerari e percorsi escursionistici. L’asso di denari dei servizi al turista (oltre che al residente stabile, di cui spesso nemmeno si fa menzione) si è perso da qualche parte e non si trova più.

Del resto siamo assolutamente certi, oltre ogni ragionevole sospetto, che il turista arrivato a Marsaglia dalle terre estreme milanesi porti con sé pranzo e altri generi di sussistenza  con doppia sessantasei di Moretti incorporata perché senza la minima conoscenza di qualche ristorante tipico in zona? Il dubbio è più che sospetto e lecito. Soprattutto se i nomi dei locali in zona sono custoditi – con qualche remota eccezione – gelosamente con scrupolo come a dire “se arriva il turista è finita la pace”.

Ci si lamenta della cronica carenza di risorse sul tavolino con Demanio, Regione e Comuni ma si lasciano nel cassetto bozze di progetti di impiego di giovani del posto e non come guide per un turismo consapevole. Si celebrano i (rari) esempi di piccola imprenditoria di montagna dimenticando che senza un vero e proprio piano di sussidi il tessuto sociale già ampiamente lacerato rischia di strapparsi nel giro di una generazione. Ed infine non resta che multare chi parcheggia a bordo strada perché (sic) l’alternativa semplicemente non esiste. E, quando esiste, è meglio tenerla al sicuro dai forestieri. Che se arrivano fanno casino.

Resta una domanda alla quale la montagna – che, giova ricordarlo, non ha mai aiutato nessuno – non sa rispondere: qualcuno, quella alternativa, vuole davvero costruirla?

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